Il fascino dei vinili è immortale. Specie se nella nostra collezione vi fossero dei pezzi d’autore. Per alcuni, il valore è inestimabile.
La musica è più dolce se ascoltata attraverso un vecchio strumento retrò. Meglio ancora se fossero i cari vecchi vinili, ero e proprio oggetto di culto per una larghissima parte di appassionati musicofili.
Possedere un disco simile avrebbe già di per sé un certo gusto vintage. Basti pensare che la loro introduzione, nel 1948, costituì una vera e propria rivoluzione per quel che riguarda la diffusione di massa della musica, col rimpiazzo dei 78 giri in gommalacca e, implicitamente, la garanzia di una durata maggiore di registrazione, grazie allo spessore inferiore e alla rotazione più lenta. Una storia breve ma intensa, un quarantennio circa (prima dell’aento dei compact disc e delle audiocassette), con la fortunata coincidenza col periodo di maggior impatto sociale della musica. La quale, soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta, divenne mezzo principe del dissenso sociale sulla guerra fredda e su escalation violente, come il conflitto in Vietnam.
Niente di strano che, in quanto mezzo per eccellenza del periodo, il vinile abbia inglobato su di sé, negli anni, una sorta di aura magica. Quasi, come detto, una venerazione per chi quel periodo lo ha vissuto, collezionando nel tempo una serie più o meno nutrita di dischi. Tutti, magari, collegati a episodi vissuti in gioventù, oppure a momenti storici particolari. Il che, chiaramente, contribuisce a conferire al vinile un valore tutto sommato sentimentale. ermo restando che, come spesso accade, ciò che oggi non esiste più in termini di commercializzazione di massa possa nascondere un valore economico di cui gli stessi proprietari non sono a conoscenza.
È chiaro che, come per qualsiasi oggetto potenzialmente interessante per i collezionisti, stimare dei valori attendibili non è semplice. Perlopiù ci si orienta sulla rarità del prodotto, sulla sua possibile minor diffusione all’epoca della distribuzione, sulla qualità estetica e, chiaramente, sul funzionamento. Per quel che riguarda i vinili, il discorso è anche più tecnico. Trattandosi di un materiale plastico, lo stato di conservazione è naturalmente essenziale. Tuttavia, come accade per le vecchie monete, anche una particolarità diventa mezzo di valorizzazione. Magari un errore sulla copertina, o una censura, piuttosto che un difetto di stampa sulla copertina. Tutto fa brodo affinché il prodotto salga di valore.
Il resto lo fa la storia. Ad esempio, il vinile più costoso in circolazione appartiene nientemeno che a Ringo Starr, ex batterista dei Beatles, e contiene il The White Album, lanciato nel 1968 proprio dal gruppo britannico. E, per inciso, si tratta della copia numero 0000001, valutata non meno di 822 mila euro. Anche la seconda piazza resta in ambito Beatles ma qualche passo indietro: si tratta di That’ll Be The Day/In Spite Of All The Danger, pubblicato dai Quarrymen, gruppo ondato da John Lennon e progenitore del successivo, nel 1958. Il alore è potenziato dalla prima registrazione di Paul McCartney, allora adolescente, e si aggira sui 113 mila euro. Chiude la top 3 dei vinili dorati, con 90 mila euro stimati, il Love me Do beatlesiano. Chiaramente, anche i loro derivati possono ruttare parecchio. Il fascino del vintage non muore mai.