Età pensionabile, non tutti sanno che in alcuni casi non bastano i requisiti anagrafici e contributivi per ottenere l’assegno. È fondamentale anche sapere quale importo mensile si è maturato durante la gestione previdenziale. Vediamo nel dettaglio i motivi.
Attualmente, il requisito anagrafico per poter conseguire la pensione di vecchiaia per vie ordinarie, è di 67 anni di età. Questo infatti il limite stabilito per legge come età minima per poter presentare richiesta per il pensionamento, insieme a un minimo di 20 anni di contributi.
Ma come possono essere raggiunti gli anni richiesti di contributi? La prima cosa da chiarire, riguarda proprio quale tipologia di contributi previdenziali, vengono considerati utili dallo stato per il raggiungimento dei requisiti pensionistici. La legge stabilisce attualmente che valgono a fini della pensione, tutti i contributi che si maturano per la maternità, per il servizio militare e per il riscatto di laurea. Valgono anche i contributi figurativi che spettano a coloro che percepiscono l’indennità di disoccupazione Naspi.
Gli anni di contribuzione possono inoltre anche essere raggiunti, andando a sommare qualsiasi tipo di contributo versato da un lavoratore in una gestione previdenziale Inps, come ha stabilito anni fa la legge numero 232 del 2016. Anche i contributi che un lavoratore ha maturato in un paese interno all’Unione Europea, vengono conteggiati dall’Istituto di Previdenza Sociale per la pensione.
Età pensionabile, cos’è cambiato davvero dopo la riforma Fornero
Ma perché a partire dal 2019 l’età pensionistica è stata innalzata così tanto? Nasce tutto dal cambio di paradigma previdenziale attuato con la Riforma Monti-Fornero. Un vero e proprio spartiacque storico, in quanto ha riformato l’intero sistema previdenziale, allo scopo di contenere i costi sempre più alti per la spesa pubblica. Per questo è compito dell’Istat fornire ogni anno i dati dell’adeguamento alla speranza di vita media, innalzando ulteriormente il requisito anagrafico, se si verificano variazioni rilevanti in questi anni.
Le regole però sono diverse per tutti i lavoratori che hanno iniziato la loro attività professionale prima della Riforma Dini.
Si tratta infatti di una categoria che ha iniziato a maturare i contributi con il sistema retributivo, per poi trovarsi invece dopo la riforma, ad accantonare gli stessi attraverso invece il sistema contributivo. I cittadini che hanno iniziato a lavorare prima del 1996, hanno oltretutto diverse agevolazioni e vedranno, al raggiungimento della pensione di vecchiaia, erogato il loro assegno in modo celere, senza andare incontro a nessun tipo di diluizione della cifra.
In quali casi il cittadino è vincolo all’importo che ha maturato per la pensione
Il discorso è invece molto diverso per tutti i lavoratori che ha iniziato invece il loro percorso professionale con il sistema contributivo. Questa categoria infatti è vincolata all’importo che ha maturato per la pensione. Che significa questo? Ad esempio, anche nel momento in cui un lavoratore raggiunge i 67 anni di età previsti, non potrà comunque andare in pensione se l’importo mensile che ha maturato e a cui ha diritto non è pari o superiore a 1,5 dell’assegno sociale.
Soltanto a questa condizione il lavoratore potrà andare subito in pensione al raggiungimento dei requisiti, altrimenti dovrà attendere i 71 anni di età. Questo è infatti il limite di età entro cui decade il vincolo di importo. E viene in questo caso anche meno l’obbligo di avere maturato un minimo di 20 anni di contributi, in quanto a partire dai 71 anni di età, ne bastano soltanto 5 per conseguire la pensione di vecchiaia.
Età pensionabile, come funziona l’anticipo ordinario e a chi sono rivolti Opzione Donna e Ape Social
C’è poi la possibilità per i contribuenti italiani, a seconda della loro situazione contributiva, di poter utilizzare i vari meccanismi di uscita anticipata offerti dall’Inps. A determinate condizioni, è infatti possibile presentare richiesta per andare in pensione anticipatamente rispetto ai requisiti ordinari. Anche se nella maggior parte dei casi, si sconteranno delle penalizzazioni sulla cifra mensile che si percepisce dall’assegno, fino al raggiungimento dei requisiti ordinari. In primo, c’è la possibilità offerta dall’Inps per la pensione anticipata ordinaria. Si tratta di una flessibilità in uscita a cui hanno diritto tutti i lavoratori che hanno maturato i seguenti requisiti:
- Almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per i lavoratori uomini
- Almeno 41 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici donna
Ci sono poi gli altri scivoli per la pensione anticipata, come Ape Social e Opzione Donna, recentemente prorogate dal governo nell’ultima legge di bilancio, destinate invece a delle specifiche categorie di lavoratori. L’ape social è un prepensionamento a cui possono aderire disoccupati, persone affette da disabilità e handicap (in misura pari o superiore al 74 per cento), e chi lavora in una mansione gravosa e usurante.
Opzione Donna è invece riservata alle sole lavoratrici donne appena licenziate o messe in cassa integrazione da un’azienda in crisi, o che hanno un figlio disabile a carico.