Pensione di reversibilità, esiste una categoria professionale che consente per legge ai superstiti di percepire un assegno più alto. Vediamo nel dettaglio.
La pensione di reversibilità è un trattamento economico destinato ai coniugi e ai familiari di una persona deceduta, titolare di una pensione presso l’Inps, o di un lavoratore regolarmente iscritto a una delle gestioni previdenziali dell’Istituto. In questi casi infatti, lo stato italiano concede che i familiari e i coniugi della vittima, possano comunque attingere a quanto il soggetto aveva accumulato nella sua gestione previdenziale.
Si tratta di una cifra a cui hanno diritto anche i coniugi superstiti che lavorano e percepiscono altri redditi, e non è dunque vincolata alla loro condizione economica. Anche se la cifra nella maggior parte dei casi, varia proprio in base allo stato reddituale degli aventi diritto.
Nel caso di un pensionato, il trattamento di reversibilità nei confronti dei superstiti scatta in automatico, e la somma viene riconosciuta calcolando una percentuale sull’intero importo, che può variare a seconda dell’ordine professionale o della situazione familiare.
Se si tratta invece di un lavoratore appena deceduto, il trattamento scatta invece soltanto se ha raggiunto determinati requisiti. È necessario infatti, al momento del decesso, che il lavoratore abbia maturato almeno 15 anni di anzianità assicurativa e contributiva. Tre di questi, devono essere stati oltretutto raggiunti nei cinque anni precedenti il decesso. L’entità del trattamento economico, viene riconosciuta in base al reddito. E la percentuale ad esempio scende di molto, se il soggetto deceduto ha dichiarato, nell’anno della morte, un reddito superiore a tre volte il minimo stabilito per legge.
Hanno diritto al trattamento di reversibilità, tutti i figli di un pensionato o lavoratore deceduto fino a 21 anni di età. Limite che sale a 26 anni di età, se questi hanno deciso di continuare nella loro formazione universitaria.
Esiste però una categoria professionale, che al momento della morte, è in grado di assicurare a familiari e superstiti, un trattamento economico di reversibilità molto importante, a prescindere dalla situazione reddituale. Per i medici infatti, viene meno il parametro reddituale. Pertanto, è l’Enpam ad occuparsi della gestione previdenziale per questa categoria professionale. Inoltre, l’entità della somma da corrispondere ai superstiti, per il personale medico, non subisce alcuna variazione legata al reddito. Nel caso in cui vi sia un solo coniuge superstite ad aver diritto all’assegno, a questi spetterà il 70 per cento della cifra della pensione che percepiva il deceduto.
Oppure, il 70 per cento della quota che stava maturando il lavoratore medico. Se invece il trattamento di reversibilità spetta sia al coniuge che al figlio, in questo caso la cifra sale all’80 per cento. E va divisa in un 60 per cento a cui ha diritto il coniuge, e un 20 per cento per ogni figlio a carico. Questo significa che nel momento in cui c’è più di un figlio a carico, insieme al coniuge superstiti, la famiglia del medico avrà diritto al 100 per cento della somma che percepiva.
Se invece i superstiti sono soltanto due figli, senza che vi sia compreso il coniuge, la somma può raggiungere massimo il 90 per cento dell’assegno, che diventa al 100 per cento in case di tre figli senza coniuge.