Una notizia che ha fatto tanto parlare le varie fazioni presenti tra la popolazione italiana. Pro e contro. Ma di cosa parliamo realmente?
C’è qualcosa per la quale un italiano si farebbe letteralmente ammazzare, o almeno una parte di italiani, la perseveranza in merito alle proprie tradizioni. Inutile girarci intorno, la cosa è assolutamente vera e presente in un quotidiano scandito da continue contaminazioni. In ultimo, cosi come abbiamo avuto modo di constatare dalle cronache degli ultimi giorni, la storia legata alla farina di grillo. A molti, di certo, la cosa non è andata giù.
Siamo sicuri che la questione legata alla farina di grillo dipenda esclusivamente dal poco gradimento che si può o meno avere nei confronti di qualcosa che semplicemente non siamo abituati a concepire come alimento? Molto probabile l’ipotesi che invece dietro tutto il chiacchiericcio delle ultime settimane ci sia qualcosa di molto più semplice e addirittura studiato. Il mantenimento delle proprie tradizioni, la protezione di queste. In molti però si chiedono, protezione, esattamente da cosa?
Poche settimane ancora e nel nostro paese saranno introdotto, almeno cosi si dice, i primi spaghetti prodotti a Torino, quindi proprio in Italia a base di farina di grillo. Dietro questa operazione ci sarebbe la Italian Cricket Farm, prima azienda in assoluta ad aver fatto richiesta della necessaria autorizzazione commerciale per quella che può essere considerata a tutti gli effetti una nuova moda gastronomica. Nella fattispecie si fa riferimento alle ben note farine di insetto.
Secondo quanto riportato dall’autorevole quotidiano “Il Corriere della Sera”, la pasta in questione sarà prodotta totalmente a chilometro zero e costerà ben quattro volte in più rispetto a quella, diciamo cosi, tradizionale. I pro dell’operazione parlano nello specifico di una tipologia di pasta adatto alla platea di sportivi del nostro paese, un prodotto ad altissimo quantitativo proteico. Di pari passo cresce la disponibilità di numerosi fondi d’investimento.
La nuova moda, se cosi possiamo chiamarla fa gola a numerosi contesti finanziari. Secondo una ricerca effettuata da Dealroom e pubblicata su Bloomberg, il mercato degli insetti considerati commestibili, in ogni parte del mondo, varrebbe circa un miliardo di euro e potrebbe superare, per il 2025 la soglia dei quattro miliardi di euro. Inutile girarci intorno, insomma, anche in questo caso la cosa fa gola e non poco a quanti sono disposti a investire su questa nuova tendenza culinaria.
La platea di chi offre la propria opinione in merito alla specifica questione è molto variegata, questo è poco ma sicuro. Il Governo guidato da Giorgia Meloni che da qualche mese guida, in un certo senso l’Italia, si è mostrato assolutamente contrario a questa nuova tendenza. Dure, particolarmente definitive, per cosi dire, le posizioni di alcuni ministri e parlamentari. Da quella parte insomma, la cosa non è assolutamente vista bene.
Secondo invece quelli che vedono di buon occhio l’intera operazione gli insetti commestibili rappresenterebbero il cibo del futuro perchè richiedono poca acqua per il proprio allevamento, in più hanno un impatto minimo sull’ambiente rispetto ad altri tipi allevamenti, per esempio quello dei bovini. Da pochissimi giorni, anche l’Europa si e affacciata, di fatto al consumo di prodotti utilizzati dall’80% della popolazione mondiale. In ogni parte del paese sono numerose le specie considerate commestibili. Per ciò che riguarda l’Europa, al momento parliamo esclusivamente di cavallette, larve della farina e grilli.
In merito alla specifica questione scende in campo direttamente Confagricoltura con una posizione che prova a chiarire specifici punti dell’intera discussione. Secondo Global Market Insights si stimano aumenti di oltre il 43,5% nel mercato specifico in vista di un valore di 710 milioni di dollari nel 2024. International Platform of Insects for Food and Feed calcola, invece che più di 6.000 tonnellate di proteine di insetti saranno prodotte in Europa e, entro il 2030, la crescita del settore potrebbe arrivare a 2-5 milioni di tonnellate l’anno.
La specifica organizzazione degli agricoltori infine ribadisce: “Il cibo italiano è universalmente riconosciuto e la questione va affrontata in generale con buonsenso. La cucina tricolore è un modello anche sostenibile con effetti positivi sotto l’aspetto ambientale e quello economico. La dieta mediterranea, oltre ad essere sana, contrasta anche il rischio di insorgenza di patologie croniche come diabete, ipertensione arteriosa e obesità. Le innovazioni – conclude la Confederazione – sono nostre alleate strategiche. Mentre siamo convinti che la nostra ricca cultura alimentare difficilmente perderà spazi di mercato in favore di alimenti a base d’insetti, occorre tuttavia sviluppare una produzione UE di proteine per la mangimistica”.
Il dibattito insomma è molto serrato. C’è da scommetterci che i prossimi mesi, in merito alla specifica questione sapranno offrire numerosi altri spunti e momenti di riflessione.