In queste settimane è uscita una ricerca molto importante sul buco dell’ozono, che sembra mettere in discussione tutto ciò che si era detto finora. Vediamo nel dettaglio cosa sta succedendo.
Chiunque è nato tra gli anni ottanta e novanta, ha imparato ben presto a convivere con “un incubo”, di cui media e scienziati hanno discusso per anni. Stiamo parlando del buco dell’ozono, che per decenni è stato il vero simbolo di quanto l’uomo sia stato in grado di alterare il clima del pianeta a causa della sua avidità.
Ma è un pericolo che da alcuni sembra essere rientrato, e in queste settimane è uscito un nuovo rapporto delle Nazioni Unite che sembra mettere un punto fondamentale sulla questione. Nel report infatti si legge come entro la data del 2040, la situazione potrebbe essere completamente recuperata. Gli scienziati infatti prevedono che lo strato di ozono in Artico tornerà intorno a quella data in condizioni accettabili, pre-inquinamento umano. Mentre bisognerà aspettare la data del 2066 secondo queste rilevazioni, per vedere lo stesso recupero anche in Antartide.
Buco dell’ozono, perché il protocollo di MOntreal del 1989 si è rivelato così importante
Sembra dunque, che si iniziano a vedere i risultati del protocollo firmato a Montreal nel 1989. Quelli infatti erano gli anni in cui l’umanità si era resa conto di quanto si fosse danneggiato il buco dell’ozono a causa dell’operato della civiltà occidentale. E secondo gli scienziati, è stato proprio grazie a questo accordo internazionale, che l’Occidente è riuscito gradualmente nel tempo a eliminare tutte le sostanze chimiche colpevoli nei decenni scorsi di aver ridotto lo schermo di ozono che protegge il nostro pianeta.
Ma a cosa serve esattamente il buco dell’ozono? Perché la sua preservazione è così importante per il nostro ecosistema? La prima da capire è che lo strato di ozono ha lo scopo di proteggere il pianeta Terra dalle radiazioni ultraviolette che provengono dal sole.
Perchè secondo il report delle Nazioni Unite il 2018 è stato un anno fondamentale
Queste infatti, se non adeguatamente schermate dal nostro stato di ozono, risultano cancerogene per la nostra pelle. Nel rapporto redatto dalle Nazioni Unite, si possono poi leggere molti altri particolari interessanti. Ad esempio sembra che qualcosa sia cambiato nel 2018, anno in cui si è improvvisamente invertita la tendenza nel consumo di CFC-11. Gran parte delle emissioni di colorofluorocarbonio veniva dalla Cina, che a partire da quegli anni ha però rallentato evidentemente i ritmi di produzione.
A partire dal 1993, il cloro chimico che ha rivestito negli anni lo strato d’ozono, è andato progressivamente a diminuire. Al punto che rispetto a 20 anni fa, è diminuito di oltre l’11 per cento.
Secondo l’Onu oltretutto, perseguendo quest’ultimo obiettivo, si è raggiunto un doppio beneficio. Sono molti infatti gli scienziati che sostengono come i CFC sono responsabili anche dell’innalzamento delle temperature. Aver dunque ridotto il loro utilizzo, ha contribuito non solo a rafforzare il buco dell’ozono, ma è stato anche un punto molto importante nella lotta al cambiamento climatico.