Ci avevate fatto caso? Come per i Gratta e Vinci, anche per le sigarette non viene emesso lo scontrino. E a norma di Legge.
Alcune tipologie d’acquisto rientrano in un quadro di ordinarietà talmente radicato da non lasciare notare alcuni dettagli. Almeno non in modo evidente.
I fumatori, probabilmente, se ne saranno accorti. O forse no, vista l’abitudine a procedere all’acquisto secondo un automatismo rodato che mira al risultato più che osservare il procedimento utilizzato. Fatto sta che, al momento di comprare le sigarette, il tabaccaio non emette scontrino fiscale. E non si tratta di un errore, né della strategia per ammortizzare il peso del Fisco. A prevederlo, infatti, è la Legge stessa. Anzi, per la precisione il Dpr 21 dicembre 1996, il n. 696, che esonera di fatto il tabaccaio dall’emissione dello scontrino fiscale sulla vendita dei pacchetti di sigarette. Lo stesso, se ci si pensa, avviene per i Gratta e Vinci, così come per i biglietti dei mezzi pubblici e, a suo tempo, per le schede telefoniche.
La ragione è semplice: lo Stato, su tale vendita, percepisce accise superiori al 50%, con Iva fissata al 22%. Sia sulle sigarette che sui prodotti derivanti dal tabacco lavorato. Ergo, tali operazioni non figurano come imponibili ai fini Iva e, di conseguenza, la Legge non prevede l’emissione di uno scontrino fiscale. Del resto, il commercio del tabacco, così come quello dei giochi, Lotto e quant’altro, segue un regime commerciale differente rispetto alla vendita ordinaria di prodotti e servizi. A intervenire, in questi casi, è infatti il Monopolio di Stato, che regola le transazioni e limita i guadagni dei rivenditori. Anzi, l’effettivo rendimento della vendita di sigarette è da sempre un interrogativo che riguarda chiunque voglia avviare un’attività di tabacchi.
In modo abbastanza standardizzato, il costo del tabacco può essere soggetto ad aumento. Una questione che, negli anni, ha tutt’altro che scoraggiato i fumatori all’acquisto del proprio pacchetto di sigarette. Nemmeno un anno fa, a fronte di un nuovo aumento dei prezzi, appena l’1% dei consumatori aveva deciso di darci un taglio, nonostante la consapevolezza, ormai inevitabile, che l’impatto del fumo sulla salute sia quantomeno deleterio. Il ciclo di aumenti non segue una logica acclarata ma, a intervalli abbastanza regolari, il costo complessivo del tabacco muta. Il che, naturalmente, non manca di avere ripercussioni anche sui tabaccai, per i quali il guadagno sul commercio delle sigarette e degli altri prodotti affini è decisamente relativo. Basti pensare che, in Italia, l’aggio sui tabacchi è al 10% (8% quello sui giochi). In pratica, a fronte di un pacchetto da 5 euro, il guadagno non supererebbe i 50 centesimi.
Il vantaggio, se così si può definire, sta nella costanza del mercato. Nonostante i ripetuti allarmi (e al netto dei costi ingenti), infatti, il consumo di sigarette e tabacco lavorato ha tutt’altro che rallentato. E anche i tabaccai, in fondo, riescono a mettere insieme un guadagno cospicuo alla fine del mese: circa 1.500 euro (dati Istat), chiaramente consentito dal vizio dei fumatori. In sostanza, pur in assenza di uno scontrino fiscale e al netto dell’aggio, il segreto del commercio di tabacco sta nella sua routine. Il fumatore, su un aumento netto del prezzo, preferirebbe dirottare le strategie di risparmio su altri fronti. E se la linea del grafico resta costante, costi e ricavi continuano a bilanciarsi.