Tasso di inflazione elevato e adeguamenti dei trattamenti: come funziona la rivalutazione degli assegni e quanto effettivamente cambieranno le pensioni.
Il processo di rivalutazione che, in fasi particolarmente difficili, porta all’aumento degli importi delle pensioni, porta il nome di perequazione. E non si tratta di un regalo, né di una maggiorazione sulla cifra base.
Con tale meccanismo, infatti, avviene l’adeguamento del trattamento pensionistico percepito all’aumento del costo della vita. Garantendo, o comunque fornendo gli strumenti per contrastare i rincari sui servizi essenziali, non più sostenibili con gli importi basati sui precedenti dati relativi all’inflazione. Il ricalcolo degli importi avviene sulla base dei dati Istat e punta quindi a proteggere il potere d’acquisto basato sulle pensioni. Con accorgimenti diversi in base al trattamento percepito dalle varie fasce di pensionati. Le modalità di revisione, negli ultimi anni, sono state più volte sottoposte esse stesse a revisione, cercando ci conciliare il meccanismo alle mutate condizioni della spesa pubblica. Il che, naturalmente, non ha agevolato la comprensione piena della perequazione; compresa quella dell’ultimissimo periodo, utilizzata per far fronte ai tassi di inflazione più alti da decenni a questa parte.
La recente Finanziaria ha disposto il ritocco dei trattamenti pensionistici sulla base delle nuove fasce, disponendo revisioni delle pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo, ossia 2.101,52 euro lordi al mese. Numeri rilasciati dall’Inps, che ha annunciato anche l’erogazione degli arretrati maturati fino ai mesi di gennaio e febbraio 2023. Apparentemente, una prospettiva vantaggiosa. C’è però da ricordare che, rispetto al 2022, la perequazione avrà un’incidenza minore. L’Inps è perciò corso ai ripari, aggiornando unicamente le rendite escluse dal modulo perequativo (quelle di importo non superiore a quattro volte il minimo).
In un quadro di rivalutazione, tutto viene calcolato, inclusa la minor efficacia della perequazione rispetto a un tasso di inflazione che, attualmente, recita +7,3%. La riduzione del potere d’acquisto, in tempi recenti, raramente è stata così marcata. E, per questo, gli aumenti avranno a che fare con un’erosione delle potenzialità finanziarie dei contribuenti decisamente marcata. Gli aumenti delle pensioni, pertanto, avverranno non per fasce progressive ma sulla base di scaglioni complessivi d’importo. Un meccanismo che, anche sulla base del previsto aggiornamento delle pensioni minime (in virtù della rivalutazione straordinaria dell’1,5%), finirà inevitabilmente per favorire determinate fasce di pensionati rispetto alle altre. Sulle varie rivalutazioni andrà comunque applicato il tasso di inflazione annua: dalla moltiplicazione dei due fattori si otterrà il tasso effettivo di rivalutazione corrisposto ogni anno tramite gli assegni.
Considerando che, attualmente, il tasso fissato per il 2023 è pari al 7,3%, gli importi andranno calcolati tenendo presente uno scarto ingente fra fasce pensionistiche. Ad esempio, per coloro che percepiscono cifre fino al trattamento minimo (525,38) e chi fa lo stesso ma con un benefit dell’anagrafica perché over 75, gli indici di perequazione produrranno una rivalutazione rispettivamente dell’8,910% e del 14,167%. Per le fasce più elevate, invece, la forchetta andrà via via a ridursi, fino a una rivalutazione del 2,336% per chi percepisce fino a cinque volte il trattamento minimo (5.253,81).
Apparentemente scarti significativi, i quali vanno però analizzati alla luce degli effetti di un tasso di inflazione così preponderante su redditi già meno attrezzati al contrasto. Il che, in buona sostanza, finisce per lasciare la situazione sostanzialmente invariata, con benefici reali per le fasce medie. In particolare, per chi oscilla tra quattro e cinque volte il minimo: per costoro, la rivalutazione spettante sarà del 6,205%.