Come si finanziano i partiti italiani? La domanda è pertinente in una nazione dotata di sistema multipartitico e di tante persone che vogliono passare per politici.
In campagna elettorale si nota un’intensa attività dei partiti politici interessati a vincere le elezioni. Ma da dove arrivano i finanziamenti?
In Italia vige un sistema multipartitico formato da diverse associazioni chiamate partiti politici il cui interesse dovrebbe essere quello di rappresentare l’interesse comune degli elettori. Inutile spiegare l’uso del condizionale, negli anni le delusioni per i cittadini sono state superiori alle soddisfazioni in relazione alla propria classe dirigente. Gestire le difficoltà e le conseguenze di una pandemia e di un conflitto in Europa non è sicuramente semplice. Le decisioni da prendere sono state tante e spesso l’esecutivo si è trovato allo sbaraglio davanti a eventi inaspettati ma ciò che gli italiani hanno notato è stata la mancanza di sostegno tra i vari partiti nel momento di un bisogno comune.
“L’unione fa la forza” recita un noto detto ma ciò non sembra valere per i politici italiani. Contrasti, battibecchi, accuse sono state protagoniste del dibattito quando invece l’Italia aveva bisogno di accordi, compromessi, sostegno reciproco per trovare la strada migliore per uscire da una profonda crisi. E ora si è giunti alle elezioni anticipate con i partiti nuovamente coinvolti in battaglie e sentenze per raggiungere l’obiettivo di ottenere la poltrona più ambita.
In vista delle elezioni l’attività dei partiti politici diventa più fervente. L’obiettivo è vincere e per ottenere più voti degli avversari occorre convincere gli elettori della validità del proprio piano politico. La campagna elettorale, però, ha necessità di finanziamenti per poter raggiungere lo scopo primario.
I fondi necessari per finanziare le attività di propaganda si creano partendo da tre categorie di risorse. L’autofinanziamento con le quote degli affiliati, il finanziamento di privati e il finanziamento pubblico. Quest’ultima risorsa è stata introdotta da diversi ordinamenti statali al fine di consentire l’uguaglianza delle possibilità per ogni candidato all’interno della competizione elettorale. L’intento è evitare che il finanziamento illecito crei disparità e porti alla vittoria un candidato che, in realtà, ha vinto solo per la mancanza di un corretto svolgimento delle funzioni partitiche riconosciute dalla Costituzione.
Diversi Paesi europei prevedono il finanziamento pubblico, l’Italia no. Le risorse da stanziare possono essere definite dalla Costituzione oppure dalla Legislazione Ordinaria. In linea generale comprendono i rimborsi elettorali delle spese sostenute dai candidati durante la campagna elettorale, il finanziamento diretto delle strutture di partito e il finanziamento ai gruppi parlamentari per le attività svolte.
Nel 1974 la Legge Piccoli ha introdotto il finanziamento pubblico in Italia. Nel corso degli anni, poi, il sistema è stato modificato. Dopo un iniziale raddoppio deciso nel 1981 si è arrivati all’abrogazione decisa tramite Referendum in seguito a Tangentopoli e ai suoi scandali. Nel 1999 ci sarà la reintroduzione dei finanziamenti fino al 28 dicembre 2013 con il Governo Letta che ha deciso per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti – effettivamente avvenuta nel 2017.
Ad oggi, dunque, in Italia non esiste più questa forma di finanziamento ma sono attive le forme di finanziamento privato e indiretto con fondi presi dalle Casse di Senato e Camera a loro volta finanziati con soldi pubblici. Una parte delle attività dei partiti, dunque, vendono pagate dai cittadini.