I rincari non perdonano: anche il pellet brucia i risparmi

Il pellet perde di interesse per gli investitori e il blocco delle importazioni rema contro l’apprezzamento generale. Il risultato è uno stallo complicato.

 

L’illusione che vi fossero zone franche per la “fuga”, o comunque il riparo dal rincaro dei costi dell’energia è scoppiata come una bolla di sapone. Non tanto nel merito, quanto nella pratica.

Pellet prezzi
Foto © AdobeStock

Basti pensare a quanto è accaduto e continua ad accadere con le cosiddette materie alternative, pellet in primis. Vista come una soluzione utile e a prezzi contenuti per evitare il consumo di gas, il combustibile naturale si sta rivelando un’arma a doppio taglio, in modo peraltro decisamente inaspettato. Il problema è innanzitutto economico: rispetto alla convenienza generale del combustibile in questione (ricavato dagli scarti di lavorazione del legno e utilizzato sia da imprese che da famiglie), infatti, il periodo in questione non favorisce nemmeno l’acquisto del pellet. In particolare in alcune zone d’Italia, dove è stato registrato un rincaro anche sensibile sui costi delle confezioni da 15 kg. Basti pensare che un peso del genere, fino a un anno fa, era pagato circa 5 euro di meno del costo attuale. Il quale si aggira sui 15 euro.

Certo, non si tratta esattamente di un combustibile a impatto zero. Il pellet dice la sua in termini di emissioni di polveri sottili ma, negli anni, pur a fronte di una sostenibilità relativa il suo utilizzo era cresciuto. E questo proprio in virtù del risparmio che consentiva. Un dettaglio non da poco di questi tempi. Ora sembra saltato anche questo tappo. E pensare che, in Italia, oltre 2 milioni di famiglie usano questo tipo di combustibile, per un consumo di circa tre tonnellate e mezzo l’anno. Perlopiù, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, le stufe a pellet vengono utilizzate in Calabria e Sardegna, dove questo materiale è usato dal 40% delel famiglie.

Il pellet non sfugge ai rincari: cosa sta succedendo

Numeri importanti, senza dubbio. Più in generale, il pellet può essere considerato di successo nel nostro Paese, quello con il più alto numero di impianti con tale alimentazione in Europa. Anzi, addirittura il 70% delle caldaie predisposte per questo combustibile e vendute in Europa, vengono fabbricate proprio nella nostra Penisola. Eppure, rispetto alla domanda, la produzione nazionale è piuttosto flebile: il 90% del prodotto viene infatti importato e, nondimeno, una quota piuttosto significativa arriva non solo dalla Russia ma anche dalla Bielorussia. Il che, di questi tempi, non è un fattore da tenere in disparte. Le sanzioni, infatti, hanno bloccato le forniture da entrambi i canali, mentre la guerra ha ridotto anche quelle in entrata dall’Ucraina. Un po’ quello che è accaduto con il grano e, per certi versi, con l’energia.

A tal proposito, visto che salgono anche le quotazioni di petrolio e carbone, i trasportatori, a parità di scelta, optano per questi ultimi, vista la possibilità di assicurarsi un maggiore ricavo. In pratica, a scarseggiare è innanzitutto l’interesse nella ricerca di altri fornitori. Senza contare che anche il combustibile che riesce ad arrivare deve scontrarsi con costi sensibili. Una situazione che rischia di incancrenirsi se non dovessero essere sbloccati i mercati o se gli investitori non decideranno di puntare su altri canali. Col rischio progressivo di un aumento dei costi e di una perdita di interesse che, al momento, non era prevista. Sempre che il prossimo governo non intervenga in modo diretto. Magari rimuovendo l’Iva.

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