Manca la CO2 per produrre acqua frizzante. Alcune aziende interrompono la produzione, altri importano la materia dall’estero. E i costi si impennano.
Se, a bruciapelo, ci dicessero che vi è una carenza di CO2 (ossia di anidride carbonica), tenderemmo ad associare la notizia a un fatto positivo. Questo perché collegheremmo il concetto direttamente alle emissioni fossili.
Bisogna però considerare la CO2 anche sotto altri aspetti, a prescindere da scorie di fabbrica e dalla fotosintesi clorofilliana. Uno dei quali, per quanto si tenda a considerarlo relativamente, è quello dell’acqua. O meglio, dell’acqua minerale. In questo senso, una carenza di CO2 rischia di far sparire dai supermercati le ricercate bottiglie di frizzante, che ricevono l’effetto bolle proprio grazie all’apporto di anidride carbonica, chiaramente in modo tale da non creare danni. E, per la verità, la carenza ha iniziato a farsi sentire portando anche dei riscontri negativi a livello commerciale. Basti pensare al marchio Sant’Anna, che si è visto costretto a interrompere la produzione di acqua minerale. E anche altri operatori hanno cominciato a segnalare il problema.
Un guaio se si considera l’apprezzamento di cui la minerale gode fra i consumatori. E anche perché, naturalmente, per i marchi produttori il giro di affari andrebbe chiaramente a dimezzarsi. E il fatto che alcuni di loro, oltre che a rallentare la produzione si siano visti costretti a interromperla in alcuni casi, dà il peso dell’emergenza legata alla mancanza di CO2 in grado di “mineralizzare” l’acqua. Un allarme concreto è stato lanciato da Samuele Pontisso, amministratore delegato di Pejo e Goccia di Carnia che, all’Adige, ha descritto uno scenario decisamente preoccupante per il mercato dell’acqua in bottiglia. Anche perché, la problematica potrebbe perdurare per tutto il resto della stagione estiva.
Il problema principale, secondo l’ad Pontisso, è legato alla continuità di fornitura. Una problematica non generale ma che procede a singhiozzo, logorando il mercato come la proverbiale goccia cinese. Il responsabile di Pejo e Goccia di Carnia la fa semplice: “Un giorno il prodotto c’è, il giorno dopo no”. Il che, nello specifico, si è tradotto in due o tre giorni di astinenza dalla produzione di acqua gassata. Una discontinuità che, naturalmente, si riflette anche nelle consegne e, di rimando, sui consumatori. Questo perché la produzione in serie è di fatto interrotta dalla mancanza dell’apporto base di CO2. Una mancanza dovuta al fatto che le aziende produttrici di questa preferiscono destinare la maggior parte della loro produzione alla sanità. Anche se i produttori d’acqua, stando alle parole di Pontisso, sarebbero disposti anche a pagare di più pur di non interrompere la fornitura.
Il rischio principale è quello dell’aumento dei prezzi, anche in misura ampia. Anzi, in alcuni casi i costi sarebbero già esplosi. Adeguamenti dovuti alla necessità di pareggiare i costi di importazione: “Se compriamo la CO2 in Spagna ad esempio costa quattro o cinque volte in più del normale, in Olanda il doppio”. L’obiettivo di concentrare l’attenzione sul mercato estero è quello di non far mancare il prodotto, anche a costo di spendere di più. Il punto è che il tutto finirebbe per riflettersi sul consumatore finale, creando quindi un rincaro anche in questo settore. La Sant’Anna, ad esempio, ha preferito interrompere la produzione. Anche perché la CO2 non può essere prodotta autonomamente, in quanto si tratta di un prodotto derivato. Una combinazione di fattori che rischia di creare l’ennesima fonte di criticità. In un quadro generale che ancora parla la lingua dei rincari.