Una clausola sfavorevole nei contratti del Superbonus potrebbe costar cara ai contribuenti. La scelta è fra restituzione o blocco a data da destinarsi.
Tanto per citare Star Wars, è ancora nebuloso il futuro del Superbonus. Il problema è sempre lo stesso: la possibilità che gli agognati lavori iniziati con il 110% non arrivino a compimento.
Una criticità sorta non solo per il caos sorto attorno alle cessioni del credito ma anche, anzi, soprattutto per il superamento della soglia limite delle risorse messe a disposizione. Un quadro complessivo che rischia di lasciare a metà strada tutti coloro che hanno pianificato lavori e, ora come ora, si ritrovano con la possibilità concreta di non poter accedere alle risorse necessarie per arrivare a dama. Il tutto mentre sorge un altro allarme, legato a tutti coloro che dovrebbero utilizzare il 110% e che, invece, si ritrovano bloccati dal mancato acquisto del credito da parte della banca. Una problematica che, a quanto pare, accomunerebbe diversi contribuenti fra quelli che hanno tentato la strada del Superbonus.
Uno dei tanti aspetti controversi di una misura che, fin dalla sua istituzione, ha indubbiamente portato con sé più criticità che benefici. Il che non è decisamente positivo considerando che, se ben utilizzato, il Superbonus avrebbe potuto contribuire realmente al risanamento strutturale ed energetico di una buona parte degli edifici italiani. Le principali problematiche sono sorte proprio attorno alla possibilità della cessione del credito, ossia il cedimento a terzi del corrispondente della detrazione. Un’opportunità valida anche per restauri, facciate, installazione di dispositivi come colonnine di ricarica elettrica.
Considerando che difficilmente spunteranno fuori altre risorse e che per molti lavori c’è l’obbligo del 30% del progetto coperto entro il 30 settembre, il Superbonus va di fatto ad avviarsi al tramonto. Da qui al 2024, infatti, verrà operata una progressiva riduzione della percentuale detraibile, col 110% che diventerà un ricordo già a partire dal prossimo anno. Per chi i lavori è comunque intenzionato ad avviarli, inoltre, spunta il problema della clausola sull’acquisto del credito. Qualora questa non fosse stata inserita nell’accordo stipulato e la banca non avesse provveduto all’operazione, il cantiere non riceverebbe il via libera e, di conseguenza, l’impresa andrebbe a bloccare i lavori. Questo perché non più supportata dalla garanzia di acquisto del credito. In questi casi, sarebbe il contribuente a dover sborsare in prima persona.
Non risulta difficile capire perché sarebbe un caos. Eppure potrebbe essere una problematica frequente, in quanto gli operatori di mercato sono soggetti a un vincolo di compensazione. Il quale, ogni anno, prevede che i crediti fiscali non vadano oltre le imposte e i contributi versati dalla banca. Per questo gli istituti di credito potrebbero non riuscire a sottoscrivere il contratto di cessione del credito. Uno dei tanti buchi normativi che hanno portato il Governo, in una determinata fase, a sospendere addirittura la possibilità di detrazione. Il contribuente finisce quindi fra l’incudine (la banca) e il martello (l’impresa).
Non è chiaro, però, come andrebbe espletata la pratica di esborso. Si potrebbe procedere con il pagamento degli importi sospesi o con la restituzione di quanto già versato. Sempre che non arrivi un intervento diretto, visto che chi ha stipulato un 110% non può recedere per clausole a sfavore. Del resto, il blocco del cantiere significherebbe avere materiali fermi in casa per chissà quanto. Altro che nodo gordiano.