La crisi di governo ha aperto ufficialmente la campagna elettorale. Ma, al netto degli eventi, chi potrebbe realmente vincere le elezioni? I sondaggi provano il pronostico.
La fine del Governo Draghi ha consegnato al Paese un quadro di incertezze ben più fitto di quanto già non fosse. Tanto da rendere difficile guardare al futuro con un occhio diverso.
L’ottimismo non è di questi tempi, questo ormai si era capito. E mentre l’esecutivo guidato dall’ex numero uno della Banca centrale europea trascorre gli ultimi mesi da dimissionario, la campagna elettorale entra nel vivo. Nel senso che è ormai legittimata dagli eventi, visto che i toni sono rimasti sostanzialmente gli stessi anche quando Draghi era effettivamente in sella. L’unica vera differenza rispetto alle altre due crisi di governo che hanno investito la travagliata legislatura che si avvia al tramonto, è la possibilità per gli italiani di ritornare alle urne. Un voto agognato visto che dal 2018, ossia quando ci si è recati ai seggi per l’ultima volta, sono cambiati tre esecutivi senza che nessun premier fosse effettivamente quello designato dagli schieramenti politici ai nastri di partenza.
Per questo è meglio non farsi troppe illusioni. Il rischio di trovarsi punto e a capo c’è eccome. Anche perché, a bocce ferme, non è nemmeno chiaro capire chi andrebbe a vincere le venture elezioni. Fra chi è vittima di divisioni interne e chi fa pressione su temi caldi, anche i sondaggi sono in difficoltà. Pur se, tecnicamente, gli strumenti più accurati per capire chi sia in vantaggio o meno rispetto ai concorrenti. Termometro Politico ci ha provato a fare chiarezza, mettendo a confronto le indicazioni di ben quattro istituti, ossia TP, Tecné, Bidimedi e SWG. Con risultati che, in fondo, non sorprendono più di tanto. E, per inciso, ricalcano le parole del segretario dem, Enrico Letta, nella sua intervista a Repubblica.
Elezioni, chi vincerebbe? I risultati (potenziali) secondo i sondaggi
Ai nastri di partenza, i favoriti sarebbero due partiti su tutti. Nello specifico il Partito democratico (Centrosinistra) e Fratelli d’Italia (Centrodestra), guidato da Giorgia Meloni. Esattamente le due alternative che Letta ha indicato come credibili per gli italiani chiamati al voto. Dal 10 al 16 luglio, infatti, entrambi i partiti hanno raggiunto quota 23,2% di preferenze. Una percentuale che stacca nettamente gli altri concorrenti, con la Lega che tocca i minimi (14,8%) e il Movimento 5 stelle che arriva a stento all’11%. In pratica, se si andasse a votare ora, uno fra Enrico Letta (già presidente del Consiglio provvisorio fra il 2013 e il 2014, dopo la fine del governo tecnico guidato da Mario Monti) e Giorgia Meloni (ministro durante l’ultimo governo Berlusconi). Lontanissimi Forza Italia (pur stabile all’8,3%) e Italia Viva (fanalino di coda con il 2,4%, dietro persino a Sinistra Italiana e +Europa, oltre che ad Azione).
Chiaro che si tratta di dati indicativi. E, soprattutto, precedenti alla vera e propria crisi di governo. Quindi suscettibili di cambiamenti. Le prossime settimane saranno sicuramente decisive e la sensazione è che stavolta le semplici promesse non basteranno. Mai come questa volta potrebbe essere un voto di pancia, condizionato da due anni e mezzo di sofferenza e, soprattutto, di delusione politica. Quella che non è mai mancata nelle ultime elezioni ma che, ora come ora, rasenta praticamente i minimi storici. Basti pensare all’ultimo referendum, test per capire quanto gli italiani fossero obiettivamente interessati a dirimere questioni di Stato. Era il 12 giugno e l’aria rovente ha convinto tutti ad andarsene al mare, più di quanto il pressing delle forze politiche abbia fatto per spingere tutti al voto. Altro che quorum.