Aiutare i parenti in difficoltà economica va fatto a norma di Legge. Con obblighi da rispettare sia per chi dà che per chi riceve.
Aiutare un familiare in difficoltà dovrebbe essere la base dell’essenza stessa dell’essere famiglia. Anche qualora dovesse trattarsi di problematiche di natura economica.
Anzi, non tutti sanno che persino la Legge interviene in tal senso. La tutela dei parenti non in grado di provvedere a sé stessi dal punto di vista economico riguarda il proprio nucleo familiare più stretto (coniuge e figli) ma anche quello correlato, da fratelli e sorelle fino a generi e nuore, oltre che, naturalmente, nipoti. Il diritto all’assistenza fa riferimento sia al mantenimento che al semplice aiuto una tantum. E non è necessario che il coniuge sia un ex: la Legge, infatti, riconosce le condizioni di difficoltà economica in senso generale come una ragione sufficiente per far sì che un altro familiare provveda a mantenere chi le patisce al di sopra della soglia di povertà. Compatibilmente con le risorse di cui esso dispone.
La Legge, in sostanza, sfata un primo mito. Il mantenimento non è ad appannaggio solo degli ex consorti o dei propri figli. Qualora vengano riscontrate particolari ed evidenti condizioni di disagio economico, la lista dei parenti aventi diritto all’aiuto economico si allungherebbe di parecchio. Certo è che, per appellarsi a tali prestazioni da parte di altri parenti, occorre che le condizioni di difficoltà siano estremamente rilevanti e, soprattutto, dettati da fattori esterni rispetto alla propria gestione del denaro. In pratica, l’obbligo alla sussistenza non vale in ogni circostanza.
Stando a quanto previsto dalle normative vigenti, anche generi, nuore e suoceri figurano potenzialmente fra gli aventi diritto. Tuttavia, bisogna ricordare che l’obbligo per i parenti che potrebbero offrire l’assistenza non è sempre automatico. Questo, infatti, scatta nel momento in cui i destinatari dell’aiuto non siano in grado di provvedere, del tutto o in buona parte, al proprio sostentamento o a quello della propria famiglia. I casi possono essere numerosi ma, il più delle volte, si fa riferimento a persone affette da disabilità o invalide, quindi impossibilitate a lavorare o costrette a farlo non continuativamente. O comunque a persone non in grado di esercitare un’attività lavorativa e di provvedere ai propri bisogni di per sé.
Ecco perché lo stato di bisogno di per sé non basta. Qualora le difficoltà economiche siano dettate da fattori quali la disoccupazione senza la presenza di impedimenti psico-fisici, l’aiuto dei parenti non sarebbe previsto per legge ma semplicemente da legame affettivo. E, d’altronde, andrebbe ad affiancarsi alle prestazioni statali previste per sostenere chi patisce questo tipo di condizione. È stata la Corte di Cassazione a stabilire come il mantenimento dipenda in primis dall’impossibilità del soggetto di provvedere a sé stesso tramite attività lavorativa. L’importo da corrispondere, in questi casi, sarebbe proporzionale alle disponibilità economiche di chi aiuta e calcolato in base al necessario al sostentamento di chi riceve. In sostanza, un aiuto sarebbe innanzitutto quello per la spesa alimentare. O per i farmaci.