Elezioni politiche, comunali, amministrative, referendum… Il diritto di voto si esercita in diverse forme. Ma è possibile perderlo?
Nonostante il rapido avvicendarsi dei Governi ci porti a credere che non sia passato poi molto tempo, l’ultima chiamata al voto, per delle vere e proprie elezioni politiche, è stata nel 2018.
Non andò esattamente come si sperava. La querelle che seguì le votazioni portò per le lunghe l’elezione del nuovo premier, carica inizialmente conferita a Giuseppe Conte (che sulle prime rinunciò a seguito del veto imposto alla nomina di Paolo Savona all’Economia), poi all’economista Carlo Cottarelli, quindi di nuovo a Conte. L’immagine politica del Paese non ne uscì benissimo, tanto da far tornare gli italiani a discutere su quanto, effettivamente, il proprio voto potesse spostare gli equilibri a fronte di variazioni così repentine nella costituzione (o nello smontaggio) di intese e alleanze. Di certo c’è solo una cosa: il diritto al voto rimane uno degli strumenti più importanti della nostra democrazia. Anche se, per la verità, qualcuno che esprime il proprio dubbio sulla necessità di recarsi alle urne a ogni chiamata c’è.
Sì, perché non sono solo le elezioni politiche a chiamare gli italiani al voto. Referendum, europee, comunali, amministrative… la tessera elettorale farà bene a essere sempre con degli spazi a disposizione, visto e considerato che il diritto a dire la nostra è quanto di più importante possa esserci nell’ordinamento del nostro Paese. Tuttavia non è un mistero che più di qualcuno pensi che votare sia poi un gesto fine a sé stesso. Soprattutto coloro più in là con gli anni possono essere entrati nel loop della sfiducia politica o semplicemente non sentirsi più in grado di fare una coda ai propri seggi. In questi casi, soprattutto se reiterati, il dubbio però sorge spontaneo: è possibile, negli anni, arrivare a perdere il proprio diritto?
Va innanzitutto precisato un dettaglio legislativo che a molti può sfuggire. Il voto, in quanto diritto, non figura come obbligo a norma di legge. Il che significa come l’astensione non sia, di fatto, una violazione di una norma specifica. Pertanto, non produrrà nessun effetto diretto, nemmeno l’esclusione dai concorsi pubblici. La nostra Costituzione parla di un dovere civico senza però menzionarne l’obbligatorietà, richiamando piuttosto i cittadini su una questione di moralità. Vengono tuttavia citati dei casi in cui il diritto può essere perso ma solo in casi estremi: in passato era considerata potenzialmente limitante un’incapacità civile ad esempio, cosa oggi non più prevista. Piuttosto, una sentenza penale irrevocabile potrebbe rimuovere il voto dai nostri diritti, qualora preveda l’interdizione dai pubblici uffici.
Anche a norma di Legge, in precedenza, erano presenti disposizioni più rigide. Ad esempio, l’astenuto era tenuto a giustificare la sua assenza alle urne. Nemmeno questa normativa è più prevista e l’astenuto, ossia chi non esercita il proprio diritto, non è tenuto in alcun modo a giustificarsi. In sostanza, il timore diffuso, e più volte ricordato al proprio parente inosservante, di “perdere il diritto” non è poi così fondato. Certo, mancare l’appuntamento alle urne potrebbe influire sul risultato delle elezioni, questo sì. Ma certo, se non ci si reca al voto ci sarà meno possibilità di lamentarsi per il mancato successo del proprio candidato preferito.