In attesa della riforma delle pensioni, arrivano gli indici di rivalutazione. Per quali contribuenti variano gli importi.
Obiettivo 2023. Per la riforma delle pensioni e anche per tutto il resto, ripresa e quant’altro. Anche se, ragionevolmente, per la ripartenza vera e propria ci sarà da attendere ancora un po’.
La guerra in Ucraina è intervenuta come variabile decisiva e imprevista. E la spinta alla crisi innescata dalla pandemia potrebbe essere tale da costringere i contribuenti ad allungare i tempi di messa a paro. Anche per questo c’è attesa e, in qualche modo, pressione affinché Governo e sindacati trovino intesa sul tema pensioni. Per il momento, alcune categorie potranno puntare sugli effetti della rivalutazione degli assegni. Una procedura che, per qualcuno, significherà assegni più alti. L’Inps, come ogni anno, ha fissato sia minimali che massimali, che consentiranno il calcolo delle contribuzioni dovute a fini sia previdenziali che assistenziali. In questo senso, il 2023 sembrerebbe un anno potenzialmente proficuo per la rivalutazione, con un tasso che passa dall’attuale 1,7% all’1,9%.
Numeri che, secondo quanto spiegato dall’Inps, richiederanno un adeguamento conseguente delle pensioni, oltre che la corrispondenza degli arretrati maturati nell’anno in corso. Senza contare che, all’aumento fisiologico portato dal nuovo tasso, andrà ad aggiungersi anche il tasso Istat previsionale del 2022. Lo scatto non è sostanziale ma comunque utile, considerando che una pensione da 2 mila euro riceverà un compendio di 4 euro lordi al mese più 50 (sempre lordi) sotto forma di arretrati. Uno scatto che consentirà l’equiparazione degli assegni al tasso di inflazione e all’aumentato costo della vita. Praticamente la stessa procedura avvenuta a cavallo fra il 2021 e il 2022.
Il meccanismo della rivalutazione è piuttosto semplice. L’importo delle prestazioni sociali, fra le quali figurano appunto le pensioni, è adeguato all’aumento del costo della vita. Il quale, a sua volta, viene calcolato in base ai numeri statistici forniti dall’Istat. Altro termine tecnico accostato è quello di perequazione ma il concetto è sostanzialmente lo stesso. In questo caso, la rivalutazione avviene in base ai tassi di inflazione. Niente di strano quindi, né un premio attribuito per chissà quali meriti. Semplicemente, considerando che il costo di beni primari e prestazioni varie sale, lo Stato contribuisce a mantenere gli standard di vita, attribuendo ai contribuenti una maggiorazione media in grado, potenzialmente, di sopperire al mutato stato dei costi complessivi. Il fine ultimo, infatti, resta quello della protezione del potere di acquisto, ragionando in base al trattamento previdenziale percepito dal contribuente.
Le pensioni interessate sono diverse, anche se il meccanismo di perequazione finisce per premiarne alcune piuttosto che altre. Piuttosto indicativo quanto avvenuto nel 2022, con la revisione delle aliquote Irpef che ha portato un aumento significativo per le categorie di reddito medio-alte. Del resto, le modalità di rivalutazione con indici annessi è stata più volte rivista, generando non poca confusione per i contribuenti. Tuttavia, è bene ricordare che la rivalutazione tocca anche pensioni di reversibilità, con aumento leggero di poche decine di euro. In merito è però intervenuta una sentenza della Corte Costituzionale, la numero 88 del 2022, che prevede un’eredità per i maggiorenni inabili al lavoro.