Diritto al lavoro e disabilità sono particolarmente attenzionati dalle normative vigenti. L’osservanza delle regole, però, dev’essere anche del lavoratore.
Qualche mese fa, la possibilità che l’assegno di invalidità fosse tolta a tutti i titolari di un impiego aveva fatto sollevare un’ondata di polemiche. Tanto che, alla fine, l’Inps aveva deciso di fare dietrofront, mantenendo inalterato lo stato delle cose.
Sta di fatto che la questione disabilità e lavoro resta sempre estremamente rigorosa. Chi percepisce i benefici della Legge 104, ad esempio, può sì mantenere il proprio impiego, a patto che continui a rientrare nei requisiti previsti e segua scrupolosamente le disposizioni affinché il diritto al lavoro non contrasti con quello della gestione aziendale. Il motivo è nell’articolo 2 del Decreto legislativo 216/2003, nel quale viene chiaramente fatto divieto di qualsivoglia discriminazione, sia diretta che indiretta, nei confronti disabili. Una normativa che sposa quella comunitaria, nella quale l’Unione europea stabilisce che il datore di lavoro deve garantire tutte le condizioni basilari affinché sia parimenti garantita l’uguaglianza fra lavoratori disabili e normodotati.
Che il datore di lavoro avesse obblighi e responsabilità era chiaro. L’obiettivo è eliminare tutte le forme di discriminazione e qualsiasi tipo di atteggiamento possa portare a delle disuguaglianze. È chiaro che, nell’ambito del rapporto datore-dipendente, anche il lavoratore abbia delle responsabilità, inclusi quelli che percepiscono le indennità della Legge 104. Particolarmente esemplificativo un recente caso trattato dal Tribunale di Vicenza e culminato con la sentenza numero 181 del 2022.Una circostanza particolarmente complessa, riguardante una lavoratrice con una riduzione permanente della capacità lavorativa pari al 35%, documentata e accertata inequivocabilmente dall’Inps.
Disabilità, in quali casi il lavoratore può incappare nel licenziamento
Nella fattispecie del caso, la donna si è vista licenziare dal proprio datore di lavoro a seguito del superamento dei giorni di comporto, ossia il totale delle assenze per malattia previste per un dipendente. Secondo la lavoratrice, considerando che i 151 giorni di assenza aggiuntivi a quelli ordinari dipendevano in toto dalla sua malattia, i secondi non avrebbero dovuto essere conteggiati. Secondo la dipendente, il licenziamento sarebbe stato quindi motivato dalla sua situazione di disabilità piuttosto che dall’effettivo superamento del limite del comporto. Sulla base di queste prerogative, ha inoltrato richiesta di annullamento del licenziamento, oltre che la riassunzione e il risarcimento del danno subito.
Va considerato, però, che un dovere a norma di legge da parte del datore di “scomputare” le assenze dovute alle condizioni di disabilità. Del resto, qualora esistesse, il giudice ha fatto notare come spetterebbe al dipendente di indicare quali, effettivamente, siano dovuti a tale stato. Nel caso in oggetto, la lavoratrice non avrebbe compiuto tale passaggio e, per questo, il datore di lavoro avrebbe agito senza infrangere alcuna norma. Pertanto, il licenziamento non è stato annullato. Lo stesso Tribunale ha precisato come il licenziamento possa avvenire anche in presenza di 104 se il datore agisce correttamente. Questo perché la legge non impone una tutela assoluta per i soggetti lavoratori con disabilità. In effetti, i Contratti collettivi prevedono di per sé un comporto piuttosto corposo, giorni che non comprendono peraltro visite mediche per situazioni gravi e ricoveri. In sostanza, l’osservanza deve essere reciproca.