L’Italia rischia lo stop del gas russo dopo la Polonia e la Bulgaria. Putin ha minacciato l’interruzione della fornitura a tutti i Paesi ostili e la nostra nazione rientra nella lista.
Cosa dovremmo affrontare qualora il gas russo non arrivasse più nella nostra penisola? Dipingeremo diversi scenari che dipenderanno da fattori differenti.
Nelle lista dei Paesi ostili alla Russia figura anche l’Italia. L’ipotesi di uno stop del rifornimento del gas russo, dunque, è plausibile dopo l’interruzione del commercio con Polonia e Bulgaria e il commento del presidente della Duma russa Vyacheslav Volodin sul “fermare le forniture di gas a tutti i Paesi ostili“. Lo scenario è incerto, i pericoli reali e le conseguenze ipotizzabili. Ad oggi, la scadenza a cui guardare con apprensione è la fine del mese di maggio 2022 quando è previsto il pagamento delle forniture inviate da Gazprom. Nell’attesa si ragiona sul doppio conto in euro e in rublo previsto a Gazprom e imposto dalla Russia. Si ha l’esigenza di comprendere se la richiesta – anzi l’obbligo – rappresenta o meno una violazione delle sanzioni che l’Occidente ha approvato contro la Russia.
Italia e stop del gas russo, lo stato di pre-allarme è cominciato
Un contesto incerto lascia ipotizzare che presto potremmo dover rinunciare alla fornitura del gas russo. Il Governo è al lavoro per trovare soluzioni alternative e non lasciare la popolazione in una situazione emergenziale ancora più complicata. Ci troviamo in uno stato di pre-allarme dal 24 febbraio, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, e per il momento non dovremmo passare al livello successivo seppur un’interruzione della fornitura significherebbe ritrovarsi con il 40% di risorse in meno. Il problema accomuna Italia e Germania, nazione che dipende dal Cremlino per il 51% di import complessivo.
L’alternativa più valida consiste nel rivolgersi ad altri Paesi. Le scelte di Draghi sono l’Algeria, il Quatar e la Libia. I contratti sono in fase di stipula ma gli arrivi non sarebbero sufficienti a ricoprire il fabbisogno nazionale. La strada parallela prevede lo sfruttamento delle centrali a carbone con l’utilizzo o la riattivazione di quattro impianti ossia quelli di Civitavecchia, Fusina, Brindisi e Monfalcone. L’obiettivo è riportare la capacità delle centrali al 100% al fine di risparmiare 3,5 miliardi di metri cubi all’anno. Un bel risparmio ma occorre tener conto delle emissioni di anidride carbonica che inquinano l’aria e vanno contro una politica di riqualificazione con le energie rinnovabili in primo piano. La scelta di riattivazione, dunque, potrebbe essere solamente temporanea.
Il Decreto energia punta alle rinnovabili
Se l’Italia vuole diventare indipendente deve puntare alle energie rinnovabili. Il Decreto energia è intervenuto riducendo le pratiche burocratiche in modo tale da velocizzare l’installazione di impianti fotovoltaici ed eolici, anche a livello domestico. Lo sviluppo delle energie rinnovabili ha un duplice scopo. Da una parte rendere il nostro Paese più autonomo in modo tale che situazioni come lo stop del gas russo non incidano sulla vita dei cittadini. Dall’altro lato servono per affrontare i rincari ed ottenere un notevole risparmio in bolletta.