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Fisco e tasse

Visita fiscale, rischia grosso anche il datore di lavoro: ecco perché

La correttezza del lavoratore in stato di malattia è fondamentale. Ma la visita fiscale richiesta dal datore non deve superare il limite della ragionevolezza.

 

Al di là di tutte le sfumature, se ci si pensa, un rapporto di lavoro fra datore e dipendente è abbastanza semplice. Il primo assume ed eroga lo stipendio per una prestazione che il secondo deve svolgere al meglio. E seguendo i dettami imposti.

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Per questo, nel momento in cui queste prerogative mancassero, la situazione diventerebbe quantomeno complicata. Peggio ancora se, a causa di alcuni atteggiamenti, dovesse venire a mancare il rapporto di fiducia fra l’uno e l’altro. Di occasioni ce ne potrebbero essere svariate, non solo in fase operativa. Dal momento che in un rapporto di lavoro entrano in gioco tutta una serie di fattori, che vanno dalla tutela del lavoratore ai diritti a questi spettanti, la correttezza reciproca diventa fondamentale. Non solo per chi lavora ma anche per chi fa lavorare. Il datore, infatti, non è esente dal rispetto di regole ben precise, da non infrangere se vuole evitare di incorrere in sanzioni anche molto pesanti.

Obblighi e diritti fanno parte in egual misura del rapporto di lavoro. Qualunque sia la parte in causa. Ad esempio, in caso di malattia, il lavoratore continuerà a essere pagato anche se, in quel momento, non sta svolgendo la propria mansione. Un frangente in cui, da parte sua, il datore di lavoro si assicura la correttezza del proprio dipendente tramite la visita fiscale, allo scopo di verificare lo stato di salute del lavoratore. E, al tempo stesso, l’effettiva permanenza in casa di quest’ultimo. Nondimeno, l’Inps può disporla per verificare l’autenticità della malattia.

Visita fiscale, il datore di lavoro non può esagerare: cosa dice la Legge

Sia venga richiesta dall’Inps che dal datore stesso (con istanza presentata allo stesso Istituto di Previdenza sociale), la visita fiscale non avrà limiti. In pratica, potrà essere effettuata più volte per lo stesso periodo di malattia. Ma attenzione, perché pur non sussistendo limitazioni specifiche, esiste una sorta di linea di demarcazione che non deve essere superata. Lo precisa una recente sentenza della Corte di Appello di Bari, secondo la quale un numero eccessivo di visite fiscali richieste da un datore di lavoro potrebbero essere inquadrate come un comportamento riferibile al mobbing. Questo perché, a fronte di una richiesta eccessiva, il dipendente potrebbe subire un contraccolpo psicologico. Una vessazione, tale da conferire stati di ansia e paura.

In sostanza, i giudici sentenziano che una visita fiscale non può conformarsi come un motivo di ansia né, tantomeno, come un atteggiamento persecutorio. Specialmente se la malattia dovesse essere effettivamente verificata, col rischio di incidere ulteriormente sullo stato di salute del lavoratore. Qualora fosse inquadrato effettivamente come mobbing, questo atteggiamento potrebbe costare caro al datore di lavoro: una condotta persecutoria sul luogo di lavoro o comunque nell’ambito del rapporto lavorativo, prevede pene decisamente pesanti (addirittura una reclusione fino a 6 anni e mezzo) a seconda della gravità della situazione.

Published by
Damiano Mattana