Prodotti con quantitativi ridotti allo stesso prezzo. Secondo il Codacons, la shrinkflation si starebbe impadronendo dei supermercati italiani.
L’allarme sulla presunta riduzione delle scorte alimentari non ha avuto grande seguito. La disponibilità dei supermercati, alla fine, sembra essere stata in grado di sopperire all’emergenza legata alla guerra in Ucraina, almeno per ora.
A ogni modo, il rischio (sempre potenziale) di razionamento o riduzione delle risorse non sarebbe l’unico corso in seno al periodo che stiamo vivendo. Anzi, secondo le principali associazioni di consumatori, i prodotti in vendita nei luoghi della grande distribuzione potrebbero subire non un diradamento della loro reperibilità ma, addirittura, una riduzione in termini di volume. In pratica, ci si ritroverebbe di fronte a dei prodotti presenti ma di dimensioni e/o peso ridotti. Esiste persino un termine per definire la pratica: shrinkflation, fusione fra il verbo “to shrink” (restringere) e, naturalmente, inflation, ossia inflazione. La situazione che meglio delinea il momento che stiamo vivendo, visto che l’intera società globale fa i conti con la riduzione della capacità di acquisto a fronte di costi in salita.
Secondo le associazioni in questione, la pratica sarebbe sempre più gettonate dalle aziende produttrici. Il problema è che, a fronte di una riduzione del volume dei prodotti, il prezzo non andrebbe a calare. Il che, è evidente, crea un gap tra fabbisogno e convenienza. Non che prima non ci fosse ma, quantomeno, il quantitativo avrebbe potuto compensare un prezzo più elevato. Con la shrinkflation, invece, niente di tutto questo. Senza contare che la riduzione può riguardare, indifferentemente, sia la confezione che il prodotto stesso. O addirittura i servizi che vengono offerti. Lo stesso allarme, peraltro, riguarderebbe anche supermercati al di fuori dei confini nazionali, dagli Stati Uniti al Regno Unito.
Sul tema è intervenuto addirittura il Codacons, il quale ha inoltrato un esposto sia all’Antitrust che ad alcune Procure della Repubblica (oltre 100 a quanto pare). Nel plico, è stata richiesta un’indagine per verificare se, effettivamente, la prassi stia prendendo piede e se, in caso, possa costituire reato. L’obiettivo del Codacons è soprattutto determinare se possano sussistere gli estremi per pratica commerciale scorretta o persino truffa. Questo perché, a fronte di un quantitativo inferiore al solito, il prezzo resta il medesimo. Un disservizio, o comunque una limitazione posta al cliente, il quale non troverebbe giovamento nemmeno nel costo. In sostanza, un potenziale danno arrecato. Anche perché si tratta di prodotti di larghissimo consumo, come la pasta, i detersivi, ecc.
La shrinkflation andrebbe quindi a generare minori costi per le aziende produttrici, a fronte di un guadagno praticamente immutato. Col rischio concreto, però, che i clienti vadano a disertare l’acquisto. Nell’esposto si parla di una sorta di “inflazione occulta”, comunque difficilmente attuabile se gli utenti dovessero decidere di limitare gli acquisti di tali prodotti. L’Istat ha effettuato una statistica dei casi di shrinkflation accertati nei vari mercati italiani, soprattutto all’interno dei supermercati. Il risultato parla di non meno di 7.306 casi, soprattutto nel settore merceologico, dallo zucchero alle confetture fino al pane. Occhio a cosa si acquista quindi. E soprattutto quanto.