Riscaldamento, dai camini al pellet: “Risparmi e salute in fumo”

L’inquinamento da riscaldamento domestico dovuto a consumo di combustibile produrrebbe l’84% delle spese sanitarie. Un paradosso in Italia.

 

Il tepore del camino o quello della stufa a pellet è sempre più gettonato negli ambienti domestici. La seconda, in particolare, ha conosciuto un boom nell’ultimo periodo, anche se non esattamente per motivi di risparmio.

Riscaldamento domestico
Foto © AdobeStock

Anche se il pellet è essenzialmente un combustibile economico, i costi di impianto e di adeguamento della propria abitazione potrebbero rappresentare una spesa comunque ingente. Stesso discorso per i caminetti o comunque per tutti i sistemi di riscaldamento che consumano legna o altri combustibili. Un mercato in evoluzione ma che, al tempo stesso, richiama all’attenzione anche su altri temi. Ad esempio, secondo le stime della CE Deft, realizzate per l’European Public Healt Alliance, a questo tipo di riscaldamento domestico (perlopiù) andrebbero attribuite le principali cause di malattie cardiache, cancro ai polmoni, malattie respiratorie acute o croniche e persino ictus. Oltre a offrire un contributo sensibile alla patologie legate all’inquinamento ambientale.

Un quadro estremamente sensibile, al quale vanno aggiunti i costi stimati che vanno a gravare sia sul Sistema Sanitario Nazionale che su aziende e lavoratori. Non è un caso che il dossier in questione sia stato denominato “I costi dell’inquinamento da riscaldamento domestico”, inquadrando nel pacchetto non solo quelli legati all’impiantistica ma anche inerenti alle cure necessarie per malattie e patologie da esso derivanti. Nello specifico, lo studio ha chiamato in causa sette inquinanti atmosferici nell’Unione europea, includendo comunque nella ricerca anche il Regno Unito. Con un focus ulteriore su quattro Paesi specifici: oltre alla stessa Gran Bretagna, anche l’Italia, la Spagna e la Polonia.

Pellet e camini, 4 miliardi di spese sanitarie: cosa succede col riscaldamento domestico

Secondo i ricercatori, i numeri sarebbero impietosi: almeno l’84% dei costi sanitari in Italia sarebbero dovuti a stufe a legna, pellet e biomasse varie, in quanto strettamente connesse all’inquinamento atmosferico da riscaldamento. Un dato che risulta quantomeno sorprendente se si considera che tali consumi rappresentano solo il 35% del totale. Altro dato che lascia basiti: nonostante il clima non sia esattamente da Circolo artico, l’Italia spende più di ogni altro Paese europeo (sempre fra quelli esaminati) per la cura di malattie legate all’inquinamento da riscaldamento domestico. Questo significa che, in proporzione, la nostra Nazione consuma per tale branca dell’energia più dei Paesi più freddi. Sui 29 miliardi complessivi spesi fra i 28 Stati monitorati, l’Italia ne spende in pratica 4,7 da sola, soprattutto per legna e pellet. Tanto per capire, il secondo posto della Polonia è piuttosto distante: 3,3 miliardi, perlopiù legati al carbone.

Maglia nera per le case, dove influisce sia il riscaldamento che la cottura. Gli inquinanti, in questi casi, producono più danno, specie se dovessero essere utilizzati dei combustibili fossili o da biomassa, con stufe non ventilate. Non è un caso che la maggior parte dei suddetti costi sanitari (addirittura il 94%) sia da riferire alle emissioni che derivano da questo tipo di combustibili. Incredibile il gap con il gas: secondo il rapporto di Epha, il pellet produrrebbe addirittura 10 volte il particolato PM25 di una stufa a gas.

La soluzione è nelle fonti alternative: elettricità e, soprattutto, calore solare. Un futuro senza emissioni, in sostanza, sarebbe fondamentale non solo per la nostra salute ma anche per le nostre tasche. Tutto sta nell’ottimizzare le tecnologie verdi e nel rinnovare la produzione di elettricità. Una strategia che, secondo gli esperti, ridurrebbe all’osso anche i costi sanitari per idrogeno verde e pompe di calore.

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