Dalla semplice tavoletta alle uova pasquali, il cioccolato è protagonista della nostra gastronomia. Con un’etica che non va dimenticata.
Una Pasqua particolare quella del 2022. Una guerra in corso, con conseguente crisi economica, che toglie quella residua voglia di celebrare in famiglia. Dall’altro lato, però, il desiderio di un momento di un momento di convivialità al quale non si vuole rinunciare.
Creare, almeno per un giorno, una bolla dai problemi della vita quotidiana e dalle voci che parlano di conflitti, sofferenze e pandemia, per vivere senza affanni la festa. Del resto, rinunciare alle tradizioni è sempre difficile, anche nei momenti peggiori. Anche se con poco, persino con il mondo fuori che combatte, la volontà di trascorrere attimi di serenità non viene mai meno. A Natale e tanto più a Pasqua, con i primi veri profumi di primavera. Come per le festività invernali, anche quelle in corso vedono la consueta corsa agli acquisti, anche se le spese tradizionali risentiranno inevitabilmente della flessione portata dal mix fra rincari ed emergenza sanitaria vissuta. Tuttavia, almeno al classico uovo di cioccolato e alla colazione con piatti fatti in casa difficilmente si dirà di no.
A proposito di cioccolato, per quanto ciambelloni e casatielli vari siano un pezzo forte della colazione pasquale, il protagonista assoluto resta di certo lui. Per le uova ma anche per coniglietti, paperotti, cioccolatini e semplice ingrediente per altri dolci. Anzi, per la verità si tratta del dessert perfetto in ogni occasione, anche nella semplice tavoletta. Nel periodo di Pasqua però, vista l’ingente spesa sostenuta per acquistare le tradizionali uova, vale la pena di chiedersi se, effettivamente, il cioccolato si equivalga. O, meglio ancora, se possa bastare la marca ad avere la garanzia di qualità assoluta.
Le marche di cioccolato sono ben note. In alcune circostanze, però, l’idea inconscia di trovarsi di fronte a un prodotto con qualche eccellenza ma sostanzialmente standard, ci convince ad acquistare anche marche meno conosciute. D’altronde, a meno di non utilizzarlo come ingrediente per qualche dolce, il consumo si riduce a uno o due quadrettini a fine pasto (se si parla di tavoletta). La concentrazione nel capire se ci piaccia o meno, però, spesso ci fa dimenticare di fare attenzione a cosa è contenuto all’interno dell’impasto (recentemente ha fatto scalpore il caso salmonella). Ma anche a cosa vi sia nel mezzo, al momento della produzione stessa. L’attenzione alla filiera del cioccolato non riguarda solo preparazione e impasto ma anche la questione dell’etica, sia ambientale che sociale, per determinare il rispetto sia delle condizioni di tutela della salute che del lavoratore.
L’indagine di The Chocolate Score Card, conclusa di recente, ha attribuito alle varie marche (quelle più famose) un punteggio legato proprio all’etica e alla trasparenza, oltre che agli standard di produzione, coprendo circa il 90% dei produttori mondiali. In base ai parametri utilizzati, gli esperti non hanno determinato quale sia il cioccolato migliore o peggiore in termini di gusto. Piuttosto, si sono concentrati sulla capacità dei produttori di rispettare trasparenza, tracciabilità, tutela del lavoratore e dell’ambiente, uso dell’agrofrestazione e la corretta gestione agrochimica.
Su tali prerogative, Chocolate Score Card ha indicato la Storck, General Mills e Starbucks fra i marchi meno virtuosi. La ragione è la volontà di questi di non sottoporsi all’indagine. Impossibilitati a definire il rispetto dei parametri, gli esperti hanno indicato tale atteggiamento come una mancanza di trasparenza. Fra quelle valutate, invece, una delle maglie nere è stata assegnata addirittura alla Kellogg’s. Più famosa per i cereali però.