Il “no” al gas russo è un pensiero condiviso dal Governo e da tanti cittadini italiani ma quali sono le conseguenze in termini pratici?
In mancanza delle forniture del gas russo l’Italia dovrebbe mettere in atto delle alternativa per non far mancare ai cittadini dei beni fondamentali.
Il giorno 24 febbraio 2022 una nube nera è entrata nelle nostre vite e non ci ha ancora lasciati. L’ombra della guerra in una nazione a noi vicina ha incupito l’arrivo della primavera, le festività pasquali e quel ritorno alla normalità tanto desiderato dopo la pandemia. Lo stato di emergenza legato al Covid 19 è finito lo scorso 31 marzo, la variante Omicron – sebbene molto contagiosa – risulta essere gestibile senza il ricovero e le restrizioni si stanno lentamente allentando. Sarebbe potuta essere una Pasqua di rinascita invece siamo piombati in una nuova emergenza dalle connotazioni ben diverse e più pericolose su diversi fronti. Tra gli effetti più evidenti della guerra tra Russia e Ucraina, con le conseguenti sanzioni per Putin, viene sempre più spesso citata la progressiva rinuncia della fornitura di gas russo.
Gas russo, cosa accade se la fornitura finisce
Mario Draghi ha pronto un piano per gestire un’eventuale stop totale della fornitura del gas russo. Si tratta di misure di razionalizzazione volte alla riduzione dei consumi fino a che non si stipuleranno accordi con un altro Paese per il rifornimento. Spegnere le luci dei lampioni, ridurre l’utilizzo dei riscaldamenti e dei condizionatori (opzione già attiva in alcuni settori), razionalizzare il diesel sono alcune delle conseguenze da considerare in caso di mancato arrivo del gas russo.
L’accordo con l’Algeria per il rifornimento del gas procede e nel 2023 dovrebbero arrivare 9 miliardi di metri cubi all’anno. Una notizia che rincuora solo in parte perché la quantità corrisponde ad un terzo di quanto arriva dalla Russia in Italia. Da qui l’apertura verso l’idrogeno verde e le energie rinnovabili che avrebbero come punto di riferimento la stessa Algeri. Oltre all’intesa con l’Algeria, poi, Draghi sta cercando altri accordi con Congo e Angola per ricevere altro gas che non sia russo. I tempi, però, sono lunghi e nel frattempo potrebbe essere necessario mettere in pratica il piano di razionamento.
Le fasi del piano di emergenza
L’emergenza nel settore “gas-naturale” prevede tre step. Il primo è un pre-allarme seguito dallo stato di allarme e, infine, di emergenza. Ci troviamo nel primo step da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Arrivare al terzo passaggio significherebbe dover far scattare necessariamente le misure straordinarie che coinvolgerebbero in prima persona i cittadini. Orari di accensione delle luci, uso ridotto dei riscaldamenti e dei condizionatori, il blocco dell’illuminazione stradale.
La riduzione forzata dei consumi, poi, porterebbe ad un utilizzo maggiore di Gnl – l’Italia dovrebbe accelerare in questa direzione – e dei gasdotti Tap e Transmed nonché allo spegnimento delle luci di monumenti, stazioni, luoghi pubblici, edifici. Un altro punto del piano è la rimodulazione delle attività industriali con la concentrazione della produzione solamente in alcuni periodo dell’anno. Le idee ci sono ma i cittadini, al momento, possono conoscerle e, fortunatamente, accantonarle dato che secondo il Governo dovremmo essere lontani dalla fase di emergenza (e anche dalla fase di allarme).