Gli italiani che percepiscono una pensione sono quasi 18 milioni. Eppure, per un terzo di loro, gli importi sono irrisori. Anche se non gli unici.
Non mancano i pensionati ma, forse, le pensioni sì. Il paradosso di un Paese che elargisce praticamente più trattamenti per gli ex lavoratori che stipendi per quelli in attività.
sì, perché in Italia i pensionati sono quasi 18 milioni ma la media degli importi percepiti è imbarazzante per due terzi di loro. I quali, dati Inps alla mano, percepiscono meno di 1.000 euro. La metà di queste scende addirittura sotto i 750 euro. I freddi numeri, una volta tanto, contribuiscono ad avere un quadro chiaro del sistema lavoro in Italia. Perché se da un lato si segnala un’uscita pressoché regolare dei lavoratori nonostante l’età avanzata richiesta per la pensione di vecchiaia, dall’altra si sviluppano paradossi paralleli, che vedono uno scarso ricambio generazionale e, soprattutto, un’equità approssimativa negli assegni pensionistici.
I dati dell’Inps sono arrivati attraverso l’analisi dei flussi pensionistici dello scorso anno. Durante il quale, in termini di liquidazione, si è raggiunta quota 1,3 milioni di pensioni, il 22% delle quali di natura assistenziale. E la spesa complessiva è stata mostruosa: 218,6 miliardi di euro. Significativa anche l’età media dei pensionati in questione (74,1 anni) e l’importo mensile medio percepito, ossia 1.285,44 euro lordi. Un compendio dei vari trattamenti ma con una variabile determinate da tenere in considerazione: solo una prestazione su tre va oltre i 1.000 euro, delle quali il 58,4% non sfonda quota 750. Una condizione che riguarda soprattutto le lavoratrici.
Attenzione però. E’ vero che in Italia ci sono quasi più pensionati che occupati, così come che la pensione percepita non è sempre sufficiente a garantire da sola uno standard di vita dignitoso. Ma è vero pure che i dati in questione devono tener conto di un altro fattore. Il quale, di fatto, va a creare un ulteriore squilibrio fra gli ex lavoratori e quelli attualmente impiegati. Per i quali, come abbiamo visto più volte, l’obiettivo della pensione è quasi una chimera, specie se l’impiego è nel settore privato. La variabile che fa la differenza, in questo caso, è la titolarità di più trattamenti pensionistici o di rendite da affiancare alla pensione base. Anche in questo caso, i numeri sono decisamente importanti e danno la misura del gap fra vecchi e nuovi lavoratori.
Il quale, nei mesi scorsi, non ha mancato di generare un allarme circa la disponibilità delle risorse per garantire la copertura di tutti i trattamenti. In effetti, il 68% delle rendite è riferito alla pensione di vecchiaia, mentre un altro 5,7% riguarda l’invalidità. Infine, un 26,3% i superstiti. Un quadro interessante, che mette in fila trattamenti cumulabili e, quindi, assegni più alti alla fine del mese. Anche attraverso trattamenti assistenziali quali l’integrazione all’importo per le pensioni minime. Le prestazioni di questa natura, fra assegni sociali e invalidità, sono state il 20,3% del totale, con distribuzione territoriale prevalente al Nord (47,58%). In pratica, sul piano pensionistico le soluzioni, magari tampone, possono essere trovate per rimediare a un assegno base fiacco. E’ sul fronte delle pensioni delle nuove generazioni che la strada appare ancora in salita.