Nemmeno i mutui sfuggono agli influssi sinistri della guerra in Ucraina. L’indice dei tassi di interesse, in altalena da mesi, si assesta su numeri preoccupanti.
Il paradosso di un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, è nella sua capacità di stravolgere anche settori della vita sociale che, apparentemente, hanno connessioni lontane con le ragioni che l’hanno avviato.
Un caso abbastanza esplicativo è quello dei mutui. I quali, dopo un momento favorevole, tornano a gonfiare i propri tassi di interesse, scoraggiando nuovamente anche quanti avrebbero potuto godere delle agevolazioni statali per l’acquisto di una prima casa. Un effetto indiretto della crisi internazionale cagionata dalla guerra in Ucraina. L’aumento sostenuto dell’inflazione ha finito per interessare anche il mercato dei prestiti, specie quelli legati all’acquisto di un immobile, per quanto in apparenza possa risultare distante. Un indicatore piuttosto attendibile è l’indice Irs, il parametro dei mutui a tasso fisso, interessato da un’altalena di rialzi-ribassi.
Un saliscendi andato avanti per mesi, dallo 0,30% alla fine del 2021 all’1% toccato nel mese di febbraio. Sbalzi che non hanno aiutato a definire chiaramente la situazione, lasciando agli investitori il dubbio se fare o meno il passo (anzi, il grande passo) di acquistare una casa. All’inizio del conflitto, i mutui a tasso fisso con indice a vent’anni erano scesi nuovamente allo 0,86%, comunque elevato per pensare di prendere una decisione dimenticando la paura di rimetterci troppo. Senza contare che, entro pochi giorni, gli analisti indicano una nuova salita di circa 20-40 punti, dovuti al conteggio del costo del denaro di febbraio.
C’è da dire che, al netto dei sentori decisamente poco positivi sul fronte degli indici di mercato, per l’approccio dei richiedenti ai mutui molto dipenderà dalle banche. Saranno gli istituti di credito a determinare i tassi di interesse, tenendo presente gli andamenti del mercato ma applicando delle misure differenti a seconda delle situazioni specifiche. Ad esempio, Intesa Sanpaolo proporrà aumenti sui tassi fissi non sopra i 45 punti. Altre banche, come Credem e Bpm, hanno ridotto gli indicatori da un minimo di 5 a un massimo di 15 punti.
Nel secondo caso tramite la riduzione dello spread di 5 punti. Webank, invece, scenderà di ulteriori 15 punti, sempre sui mutui a tasso fisso e con finalità di acquisto. Per quanto riguarda Deutsche Bank, l’incremento previsto è di 10 punti. Da 20 a 40 quello di Bnl, che ha però dalla sua una buona elasticità sui prodotti proposti.
Numeri che in sé diranno poco. E che, di fatto, inquadrano solo i mutui con Irs a vent’anni. A prescindere dalla frequenza delle richieste, il mese di marzo ha visto l’indicatore in questione registrare una decrescita dello 0,02%, assestandosi a 0,86%. Per quanto riguarda i mutui a tasso variabile, il mese di marzo ha segnato un -0,52%, comunque in aumento dello 0,01%.
Una situazione che riguarda una nutrita schiera di potenziali compratori, considerando che circa il 35% di loro richiede un mutuo fra 100 mila e 150 mila euro, per un’età media compresa fra 26 e 35 anni. Per costoro la strada si farà in salita, anche considerando il reddito medio di chi si fa avanti (1.500-2 mila euro mensili). Il mercato immobiliare rischia una nuova frenata.