Secondo la Fao, con la guerra in corso non sarebbe da escludere una crisi dell’approvvigionamento alimentare.
Da diversi giorni uno dei leitmotiv collegati al conflitto in corso in Ucraina, vede l’Italia prossima all’esaurimento delle proprie scorte, alimentari ed energetiche.
Una voce che non ha mancato di provocare i suoi effetti, al netto di tutte le smentite arrivate. Ieri, però, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha spiegato che il rischio di dover razionare le scorte, per quanto minimo, esiste. Certo, le condizioni necessarie affinché uno scenario simile si verifichi sono le peggiori possibili. Il problema, almeno per quanto riguarda gli alimenti, sarebbe da ricercare nello stop imposto ai porti ucraini sul Mar Nero, vero punto di partenza dei rifornimenti di materie prime e prodotti base in Europa. Le conseguenze di una crisi prolungata, sempre ipotizzando lo scenario peggiore, sarebbero devastanti per l’Occidente. Tanto che, secondo la Fao, la possibilità di una crisi alimentare globale sarebbe tutt’altro che da escludere.
Alcuni Paesi del globo soffrono da tempo l’insicurezza alimentare, specie nelle categorie più deboli della popolazione, come anziani, malati e bambini. Dall’Africa al Sud America, fino ad alcune zone dell’Asia, il rischio fame è diffuso anche nella società globalizzata. E un problema non secondario, riguarda l’influenza avuta dalla pandemia nel creare nuove sacche di povertà e sofferenza anche nelle economie più sviluppate. Colpa del rallentamento delle attività produttive avuto con il lockdown e, soprattutto, dei consumi. Il vero motore delle società di massa. E proprio la Fao torna a rincarare sull’argomento, spiegando nel suo rapporto “State of food security and nutrition in the world” che, nel 2021, l’8,9% della popolazione mondiale ha sofferto la fame. Un altro 25,9%, invece, ha avuto accesso discontinuo al cibo.
Crisi alimentare, razionamenti possibili? Non ancora ma il rischio c’è
Il conflitto in corso fra Russia e Ucraina ha fatto sobbalzare i mercati mondiali, già destabilizzati dalla crisi pandemica. Il punto è che il 30% dell’esportazione mondiale di frumento (per dirne una) arriva da Russia e Ucraina. L’80% del totale passa dal porto di Odessa. Nella crisi, l’Italia c’è dentro e forse in prima fila. Dall’Est provengono, oltre al frumento, anche grano, mais, gas e altri beni indispensabili. La maggior parte provenienti dalla rotta del Mar Nero, più veloce ed economica. E la prima a fermarsi, vista la situazione. Il primo effetto tangibile della nuova crisi dell’esportazione è stato l’aumento vertiginoso dei prezzi. Basti pensare al future del grano, valutato 764 dollari al busher e passato ora 1.258 dollari. Ovvero, un aumento di circa il 40%. Un quadro nemmeno arrivato alla sua massima criticità.
C’è da capire, se effettivamente si arriverà a una crisi alimentare, quanto questa potrebbe essere estesa. Secondo le Nazioni Unite, per l’anno in corso quasi un terzo delle terre coltivabili in Ucraina potrebbe essere inutilizzabile per le colture. Senza contare le sanzioni applicate al sistema produttivo russo, che sta bloccando l’export e scuotendo i mercati internazionali, dal quale è stato escluso. Col rischio concreto che un’ulteriore spinta possa arrivare anche dal sistema Swift, sempre più propenso a buttare fuori le banche russe. E’ chiaro che, al momento, un’emergenza vera e propria sul piano degli approvvigionamenti non c’è. La crescita dei prezzi, però, è cosa concreta. E la possibilità di vedere meno qualche prodotto ci sarebbe, a meno che le tensioni non inizino repentinamente a rientrare.