Il tonno è uno degli alimenti più consumati dagli italiani. Merito della sua versatilità, oltre che del suo sapore. Ma secondo gli esperti è meglio andarci cauti.
Toglieteci tutto ma non il tonno in scatola. Giusto allergici e intolleranti possono dirsi fuori dalla schiera dei consumatori. Dati alla mano, si parla di uno degli alimenti più gettonati dagli italiani.
I numeri sono abbastanza chiari: nel 2020, il tonno in scatola ha fatto registrare un valore di mercato di quasi un miliardo e mezzo di euro, ovvero un +6% rispetto al 2019, con produzione nazionale da oltre 80.300 tonnellate. In pratica, con un consumo da 160.191 tonnellate, si parla di uno degli alimenti più acquistati e consumati dalle famiglie. Del resto, forse non c’è da stupirsene più di tanto. Il tonno in scatola è un alimento versatile, utilizzabile sia da solo che in combinazione con altri, dalle insalate alla pasta e altro ancora. E’ chiaro che un prodotto di così largo consumo sia costantemente sotto l’occhio vigile di chi monitora la regolarità degli alimenti realizzati per la vendita.
Specie quando si tratta di pesce, è necessario che le condizioni di conservazione e freschezza, anche per lo scatolame, siano sempre impeccabili. Al fine, naturalmente, di evitare problemi di salute a soggetti fragili ma anche a quelli più sani. Il tonno, in questo senso, richiede un’attenzione particolare. Non tanto in fase di pesca, quanto nella successiva fase di lavorazione e conservazione. Il pescato destinato al largo consumo viene lavorato parzialmente già a bordo dei pescherecci, con operazioni di taglio, pulizia e disinfezione. Quello destinato alle classiche “scatolette”, successivamente sarà cotto e aromatizzato leggermente, oltre che rinforzato con del sale.
Tonno in scatola, conseguenze impreviste: la qualità è l’indicatore giusto
Alcuni studi scientifici, incentrati sul popolare alimento, hanno evidenziato rischi più o meno gravi per la salute del consumatore. Questo non significa che il tonno in scatola sia di per sé pericoloso ma semplicemente che le tecniche di lavorazione fanno tutta la differenza del mondo. Il problema sarebbe da ricercare nella presenza di metalli pesanti, come piombo e mercurio. Elementi che, se accumulati nell’organismo, potrebbero portare dei danni al sistema immunitario, oltre che ai reni e all’intestino. Un eccessivo accumulo, secondo gli esperti, potrebbe provocare danni persino a livello neurologico. Si tratta di possibilità vagliate dagli esperti come conseguenze estreme e ipotetiche legate al consumo di alimenti non adeguatamente lavorati per il consumo. Il semplice fatto che la possibilità esista, però, mette quantomeno una pulce nell’orecchio.
Di recente, anche Altroconsumo ha fatto capolino nel mercato ittico, cercando di censire i prodotti finiti nel libro nero. Il risultato dell’indagine ha evidenziato che su 46 tranci di pesce esaminati, fra tonno, palombo, pesce spada, smeriglio e verdesca, 8 risultavano fuori legge, mentre 12 detenevano al proprio interno un quantitativo di mercurio non eccessivo a norma di legge ma già sconsigliabile per alcuni soggetti. Una problematica che, secondo l’associazione, sarebbe perlopiù riferibile all’Italia. Un’analisi rincarata dall’editoriale di Marione Nestle, docente di scienze della nutrizione all’Università di New York, apparso sull’American Journal of Clinical Nutrition. Secondo l’accademica, i pesci con il maggior contenuto di omega 3 finiscono sovente per mostrare una maggiore concentrazione di mercurio.
Per evitare guai e, al contempo, non rinunciare al tonno, occorrerà fare le scelte giuste. Ad esempio distinguendo fra tranci (conservati in scatola) e filetti (sotto vetro), con questi ultimi notoriamente tagli più pregiati. Attenzione anche alla consistenza: i tranci, così come i filetti, dovranno risultare compatti. In caso contrario, è altamente probabile l’essere in presenza di prodotti di scarto.