Taxi, avete mai provato a pagare con il Bancomat? Cosa può succedervi

Non tutti i taxi possiedono il Pos. E questo può provocare delle situazioni piuttosto spiacevoli. Eppure c’è una legge che regola la questione…

 

I pagamenti tracciabili sono sempre più incoraggiati dal Governo. Eppure, in alcuni frangenti, sembrano convenire davvero relativamente. Uno di questi è quando si decide di chiamare un taxi.

Taxi bancomat
Foto da Pixabay

Chi l’avrebbe mai detto. Le soluzioni come il car sharing sono tendenzialmente più economiche rispetto a un servizio del tassista. Tuttavia, incappare in una situazione di emergenza richiede di fare buon viso a cattivo gioco. La procedura è sempre la stessa: si chiama, si arriva dove si deve arrivare e, per finire, si paga. Teoricamente, contanti o carta sarebbe indifferente. Il problema, in realtà piuttosto frequente, sorge nel momento in cui il taxi non possiede un dispositivo Pos. Il quale, però, sarebbe obbligatorio per tutti coloro che esercitano una professione autonoma. E, quindi, nel gruppone rientrano anche i tassisti. Un obbligo parzialmente introdotto già nel 2012, con il Decreto Legislativo dell’era Monti (il numero 179), successivamente rivisto dalla Legge di Bilancio 2019.

Progressivamente, peraltro, le normative a riguardo diventeranno anche più stringenti. Al momento, ogni esercente che viene beccato privo di Pos (quindi negando la possibilità ai clienti di eseguire pagamenti tracciabili) riceve una sanzione di 30 euro, alla quale sommare il 4% dell’importo complessivo della transazione. Decisamente più facile verificare in un negozio, fisicamente statico e passibile di qualsiasi verifica. Ben diversa la situazione per i servizi mobili, come quello dei taxi. In questo caso vige il controllo “a campione” disposto come misura d’emergenza ma incentrato soprattutto sulle verifiche relative al lavoro in pandemia. Per il resto, i controlli sono relativi. E pagare il taxi con un bancomat o con qualsiasi carta potrebbe essere un’impresa omerica.

Taxi, l’incognita del bancomat: cosa succede in Italia

La situazione non varia di molto da Regione a Regione. Basti pensare che, secondo alcune analisi sul tema, a Napoli un taxi su due è privo di Pos. Addirittura, stando a un articolo di Repubblica di qualche mese fa, una passeggera si era vista affibbiare un +40% sulla tariffa per l’uso del Pos, al termine di un tragitto concluso all’aeroporto di Torino. Una richiesta assolutamente illegale, della quale la donna si è però resa conto solo in seguito. Si tratta di una esplicita violazione dell’art. 62 del Codice del Consumo, nel quale si vieta tassativamente di imporre maggiorazioni sull’uso di qualsiasi strumento di pagamento. Per il resto, il leitmotiv è più o meno sempre lo stesso: linea assente e impossibilità (presunta) di utilizzare il dispositivo per i pagamenti elettronici.

Chiaramente, quanto accaduto a Torino è una situazione limite. Del resto, come detto, tale pratica è palesemente illegale. Tuttavia al fine di incorrere in situazioni spiacevoli, come la semplice assenza del Pos e dei contanti allo stesso tempo, è sempre bene prendere qualche precauzione. A cominciare dagli stessi contanti, dal momento che un dispositivo di pagamento elettronico non funzionante potrebbe capitare realmente. Decisamente più comodo, invece, installare alcune applicazioni di settore sul proprio smartphone, disponibili sia per iOS che per Android. Da WeTaxi a ItTax, passando per Uber Taxi, WeTaxi e FreeNow. Ognuna di queste applicazioni consente di prenotare la corsa e addebitare il dovuto direttamente su un conto. Altra mossa furba, quella di specificare al momento della telefonata di farsi inviare un taxi dotato di Pos. La soluzione estrema è quella di presentare al tassista il proprio diritto al prelievo presso il più vicino Atm. A quel punto il dispositivo converrebbe anche a lui…

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