Il pesce azzurro riduce il rischio di malattie cardiovascolari. Lo sostiene l’equipe diabetologica dell’Università Federico II.
Tradizionalmente, il consumo di pesce viene inquadrato in un contesto di vita salutistico. Certo, a patto che sia cucinato in modo tale da fornire quei principi nutrienti che altri cibi darebbero in eccesso.
Perlopiù, il pensare comune vede il pesce come un’alternativa alla carne, specialmente quello azzurro. Sardine, sgombri, aguglie e aringhe, però, possiedono caratteristiche che vanno al di là del semplice colore della livrea e dell’appartenenza delle specie ittiche che danno consistente contributo al settore della pesca. Questi pesci, infatti, sono noti per le loro carni grasse insaturi e ricche di oli. Anche per questo il loro uso in cucina è particolarmente apprezzato, combinando sapori e componenti nutritive. Per questo il pesce azzurro si consiglia nelle diete in cui viene ridotto o persino vietato il consumo di grassi saturi, con l’obiettivo di monitorare i livelli di colesterolo all’interno del sangue.
Più in generale, tali specie ittiche vengono considerate ideali per combattere malattie cardiovascolari e il rischio di mortalità precoce. Un potenziale nutritivo che, secondo gli esperti, il pesce magro non sarebbe in grado di fornire, almeno non per queste ragioni. E’ quanto emerge da uno studio dell’equipe diabetologica dell’Università Federico II di Napoli, pubblicato su Advances in Nutrition. Uno studio che fissa un importante punto nella ricerca sulle proprietà alimentari delle specie ittiche dal momento che, finora, non era stato chiarito se ognuna di queste consentisse di beneficiare delle medesime proprietà.
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Il consumo di pesce, come detto, si associa in forma generica alla riduzione di malattie cardiovascolari ischemiche, fra le quali l’infarto miocardico. Tuttavia, non tutte le specie sarebbero intercambiabili in una dieta apposita. Anzi, la differenza tra pesce grasso e magro sarebbe sostanziale ai fini nutritivi. L’equipe guidata dalla professoressa Olga Vaccaro ha confrontato i dati disponibili sulla relazione fra consumo di pesce e malattie cardiovascolari su una fetta di popolazione composta da quasi un milione e mezzo di individui fra i 4 e i 40 anni. Dai risultati emersi, è stato compreso come il consumo di circa 1-2 porzioni di pesce grasso a settimana possa essere associato a una riduzione piuttosto significativa del rischio di infarto e di altre patologie cardiache. Per i casi più gravi, la riduzione sarebbe addirittura del 17%, proprio grazie a componenti quali l’Omega 3, propria dei grassi insaturi.
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Ben diverso il discorso per quel che riguarda il pesce magro. Chiaramente non vi sono evidenze che tali specie (fra le quali alcune di larghissimo consumo, come il merluzzo) aumentino il rischio di sviluppo di malattie cardiovascolari ma, a ogni modo, non risulterebbero nemmeno dei particolari benefici per la loro riduzione. Questo non toglie che, in un contesto nutrizionale, anche queste possano rientrare nella dieta. Secondo gli esperti, tuttavia, col pesce azzurro si otterrebbero delle precise proprietà nutritive. E il mercato, visto il consumo massiccio, sembra esserne perfettamente consapevole.