Uno scenario da incubo ma tutt’altro che improbabile. Il problema non sono (solo) le pensioni ma un tessuto occupazionale che non genera fiducia.
A fare i conti con pensioni basse sono abituati i contribuenti italiani. Così come a pianificare il proprio futuro nell’ottica che i trattamenti “classici” di anzianità potrebbero essere una chimera.
Ma cosa potrebbe accadere se, una volta arrivati al dunque, delle pensioni non ci fosse traccia? In un contesto democratico tale prospettiva non dovrebbe nemmeno porsi come lontana eventualità. Uno scenario letteralmente da incubo considerando che, già così com’è, il sistema rischia di essere deficitario soprattutto per i contribuenti più giovani, ossia quelli che hanno iniziato più tardi a lavorare e che corrono il pericolo di ritrovarsi alla pensione di anzianità con un numero insufficiente di versamenti. Eppure, anche sulle prospettive peggiori vale la pena di ragionare. Così da essere preparati a tutto, che siano fattibili o meno.
La prima domanda alla quale rispondere è proprio questa. Scenario da tenere in considerazione o paura ingiustificata? Per rispondere bisogna partire proprio dalla situazione attuale legata alle pensioni che, come detto, al momento in Italia non è fra le più rosee. I motivi sono sostanzialmente due: innanzitutto la bassa natalità, che di fatto impedisce al sistema di beneficiare dell’apporto dei lavoratori giovani in grado di “pagare” le pensioni ai più anziani. Inoltre, a incidere è soprattutto l’altalena fra ripresa e calata dell’inverno demografico. L’oscillazione, che tendenzialmente pende dalla parte peggiore della bilancia, rischia di provocare un crack del sistema.
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In sostanza, il pericolo principale è che non vi sia una forza lavorativa sufficiente a finanziare il meccanismo. Sempre meno giovani, equivale a un tessuto occupazionale sempre più ridotto, con un rischio preciso per il futuro del Paese. Al momento, gli occupati in Italia sono circa 23,4 milioni, ovvero appena il 39,1% delle persone. Il 70% delle quali figura come dipendente. Preoccupante il dato sui disoccupati in età lavorativa: 13,1 milioni, tutti di età compresa fra i 15 e i 64 anni. Numeri scioccanti e tutti riferiti a un periodo pre-pandemico. Questo significa che, nei prossimi anni, le percentuali potrebbero salire ancora se le cose non dovessero cambiare a brevissimo termine. Anche perché, a questi parametri bisogna affiancare il dato sui pensionati, al momento 16 milioni. Ovvero solo poco meno degli attualmente occupati. E in media percepiscono 1.410 euro.
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In pratica, le pensioni viaggiano su cifre ben superiori agli stipendi medi dei lavoratori. E già per questo, il punto di rottura non appare così lontano. Uno scarto di appena un terzo separa i lavoratori in attività da quelli ormai a riposo: troppo poco per reggere tutta l’impalcatura, al netto di qualsiasi riforma. Il problema infatti, più che nel sistema pensionistico sembra da ricercare in quello occupazionale che tuttora non premia i lavoratori più giovani. I quali, specie se incamminati sui sentieri universitari, rischiano di ottenere il loro primo contratto indeterminato (qualora lo ottengano) ben oltre i 30 anni. Meno tasse quindi e, per questo, sempre meno soldi per le pensioni. E la soluzione non può essere nei titoli di Stato, emessi da anni per tamponare l’emergenza. Colpa dell’inverno demografico, fomentato da un meccanismo che non crea fiducia nel futuro. Un dramma per un Paese che siede al tavolo del G7.