Una pensione al di sotto degli 800 euro non consente uno standard di vita dignitoso. Ma le strategie di incremento ci sono. Basta conoscerle.
La pensione non è sempre sinonimo di garanzia di mantenimento. Il problema, molto spesso, è che gli assegni percepiti non riescono da soli a coprire gli standard di vita.
Alcuni importi, a prescindere dagli anni di contribuzione e dal lavoro svolto, da soli potrebbero non bastare a garantire al pensionato un adeguato sostegno, non raggiungendo nemmeno il minimo, o superandolo di poco, per una vita dignitosa. Ad esempio, una pensione con importo compreso fra 400 e 600 euro rientrerebbe di diritto in questo gruppo, ben più nutrito di quanto non si pensi. C’è comunque da dire che alcune soluzioni consentono di incrementare gli assegni pensionistici, perlomeno per arrivare a uno standard in grado di sostenere le spese ordinarie.
Alcune di queste sono abbastanza semplici: in caso di possesso di una seconda casa, ad esempio, si potrebbe procedere con un affitto, così da alzare il reddito, oppure si potrebbe usufruire di alcune specifiche detrazioni fiscali. O, ancora, accedere a un fondo di pensione privato. Come detto, è una situazione abbastanza comune. Soprattutto perché, in media, gli italiani percepiscono assegni di pensione piuttosto bassi. Milioni di persone, infatti, percepiscono assegni compresi al di sotto degli 800 euro al mese, in alcuni casi persino di cifre appena superiori alla metà di tale importo.
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Pensione, le soluzioni migliori per alzare gli standard
Inutile dire che tali importi non rappresentino garanzie di sussistenza. Per questo i pensionati in questione vagliano perlopiù delle soluzioni di affiancamento, che possano incrementare il reddito sia mensile che annuale. Anche se, in questo senso, l’asticella non potrà essere spostata di molto: qualche centinaio di euro, comunque sufficienti per riuscire a tamponare eventuali emergenze o fare rifornimento al supermercato in modo più tranquillo. Un pensiero che, dopo una vita passata al lavoro, in teoria non dovrebbe nemmeno manifestarsi. Fatto sta che capita piuttosto frequentemente e, per questo, vale la pena di schiarirsi le idee. Con una prima soluzione abbastanza a portata di mano, per quanto di minima variazione. Si tratta della rimozione della quota sindacale, utile anche a un lavoratore per alzare la busta paga, col contraccolpo di non poter usufruire delle prestazioni della sigla di riferimento. Secondo le stime, il guadagno sarebbe di circa 100 euro.
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Le trattenute delle quote sindacali si applicano ogni mese, in base a delle percentuali specifiche calcolate sull’importo lordo delle rate di pensione singole (inclusa la tredicesima). Una percentuale dello 0,50% si applica sugli importi compresi entro il trattamento minimo del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD). Uno 0,40%, invece, per gli eccedenti il trattamento minimo e non eccedenti il doppio della misura dello stesso. Infine, lo 0,35% sugli importi oltre il doppio della misura del trattamento minimo. La quota sindacale può essere rimossa semplicemente, inviando un’istanza per la cancellazione dell’iscrizione al sindacato. Per far questo basterà accedere al sito Inps tramite le credenziali Spid, Cie o Cns. Per quanto riguarda le detrazioni fiscali, chi percepisce una pensione di importo contenuto potrà accedere a delle specifiche su familiari a carico. In questo modo l’importo della pensione salirebbe, anche se solo di qualche decina di euro.