L’ad Fuortes torna sul tema. Gli introiti del Canone Rai non sarebbero sufficienti a coprire oneri e servizi. Potrebbe davvero cambiare qualcosa?
E’ quasi da diventarci da matti. Il momento storico è quello che è, le difficoltà sono tangibili, i contagi avanzano su numeri ancora impressionanti e la frequenza delle quarantene logora ai fianchi i cittadini, già provati da due anni di pandemia. Le conseguenze economiche si fanno sentire con tutto il loro peso, specie in bolletta. Alla fine del mese, arrivarci in paro è già un miracolo per la stragrande maggioranza dei contribuenti. Colpa anche dell’aumento vertiginoso dei costi delle utenze. E’ pur vero che a determinate abitudini non ci si vuole rinunciare. Fra queste la possibilità di godersi una serata davanti alla tv per gustare la nostra serie preferita.
Tutti però sappiamo che la tv ha un costo, il quale non riguarda solo l’esborso per l’elettricità consumata. O meglio, da qualche anno a questa parte c’è l’abitudine a considerarlo parte integrante della fattura emessa proprio per il consumo dell’energia elettrica. Tuttavia si tratta di un altro costo, una tassa per la precisione. La più detestata dagli italiani. Il Canone Rai, infatti, è di fatto l’onere che si sostiene per poter fruire del servizio della televisione pubblica. E l’inserimento nella bolletta della luce non ha certo contribuito a renderla più popolare, dal momento che, in buona sostanza, dà per scontato che ogni nucleo familiare possieda almeno un dispositivo fisso sul quale farne uso. Ora ci si mette anche il ritorno a bomba dell’ipotesi aumento.
Aumento del Canone Rai in vista: le direttive europee non favoriscono i contribuenti
Il discorso è stato più volte ripreso dai vertici del Gruppo Rai, in particolare dall’amministratore delegato Carlo Fuortes. Molto semplicemente, l’importo di 90 euro annui non sarebbe sufficiente a coprire i costi, in quanto non convogliato interamente nelle casse dell’azienda. Va detto che il Canone Rai italiano è la tassa più bassa sulla tv pubblica applicata in Europa. Altri Paesi, come la Germania, la Spagna e la Francia, viaggiano su cifre molto maggiori. Una disparità che si era pensato di attenuare tassando anche i dispositivi mobili che, anche se al momento esclusi, di fatto consentono di usufruire dei medesimi servizi. Ipotesi accantonata a seguito delle resistenze ma quella più generica relativa all’aumento resta ancora più viva che mai. Secondo Fuortes, la cifra incassata dal Canone, al netto del valore unitario, rende “quasi irrilevante la compresenza compensativa, per Rai, della fonte integrativa degli introiti costituita dalla raccolta pubblicitaria”.
In effetti, su un totale annuo di 90 euro, la Rai ne riceve “solo” 74. Questo perché lo Stato trattiene sul conteggio una percentuale di gettito. La cifra non sarebbe quindi sufficiente per continuare a garantire la qualità del servizio e per onorare gli obblighi che la Rai è tenuta a rispettare. L’inserimento in bolletta, pur se non apprezzato da chi pagava regolarmente il Canone Rai anche prima, è stato disposto proprio al fine di evitare pratiche di evasione fiscale. La Legge di Stabilità del 2015 puntava proprio a rimuovere il difetto, disponendo una sorta di pagamento automatico assieme al costo dell’energia elettrica.
Canone Rai, gioco al raddoppio: la tassa diventa sempre più indigesta?
Ora, però, la situazione si sarebbe fatta difficile: “Il canone, quindi, è una risorsa incongrua rispetto agli obblighi e alle attività che la Rai svolge ed è tenuta a svolgere come certificato anche dalla Contabilità separata”. Questo perché, dei 90 euro, solo l’86% finirebbe nelle casse aziendali. Non resta che attendere. Di sicuro c’è la possibilità che, dal prossimo anno, il Canone venga scorporato nuovamente dalla bolletta. Forse qualcosa potrebbe cambiare davvero.