Pratiche inevase, tempi di attesa troppo lunghi e contenziosi a valanga. Un periodo non certo facile per l’Inps. E i conti non perdonano.
Contenziosi aperti su diritti acquisiti. Anche questo può succedere e, purtroppo, succede di frequente. Si tratta decisamente di brutte gatte da pelare quando i contribuenti si ritrovano a dover contestare la mancata erogazione di una pensione, decurtazioni impreviste, persino indennità di invalidità civile non riconosciute. All’altro capo della disputa c’è sempre l’Inps, ovvero l’ente che eroga determinati servizi destinati ai cittadini. L’altro lato delle prestazioni previdenziali che, secondo quanto emerso in un approfondimento di Repubblica, porterebbe all’Istituto una spesa aggiuntiva non indifferente. Tra ricorsi e processi vari, le procedure di rimborso sono state perlopiù attribuite all’ente (circa il 40% dei casi si risolve a favore dei cittadini). E, al momento, almeno mezzo milione di contenziosi sarebbero aperti contro l’Inps.
Un quadro decisamente complicato, che crea un buco nero da circa 230 milioni l’anno. Un conto decisamente salato e che, inevitabilmente, grava sulle prestazioni stesse. Ma non si tratta solo di qualità dei servizi. Il problema sarebbe a monte, nel funzionamento dei sistemi di erogazione e attribuzione che l’Istituto ha adottato in questi anni. Un dato che emerge dal numero dei contenziosi risolti con attribuzione di responsabilità all’Inps stesso (il 13% nel quadriennio 2017-2021), in molti casi senza nemmeno arrivare a giudizio. In questo senso, il risparmio sarebbe esclusivamente delle spese legali. Ma cambia decisamente poco.
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E’ inevitabile che, alla fine del giro, i conti dell’Inps risentano della situazione. Ma, come detto, il numero monstre di contenziosi aperti induce anche a una riflessione (e possibilmente a una rivalutazione) delle metodologie utilizzate dall’ente nella gestione dei servizi. Un problema su tutti sarebbe da individuare nella lentezza del sistema di smaltimento delle pratiche di invalidità, aggravatosi ancor di più con l’irruzione della pandemia. Secondo il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza (Civ), si parla di oltre 900 mila pratiche ancora in giacenza al 31 ottobre, perlopiù per l’attribuzione dell’invalidità civile. In pratica, nei cassetti ci sarebbero ancora stipati quasi un milione di plichi riguardanti richiedenti in attesa di prima visita e revisione. Ovvero, un 11% in più rispetto a gennaio 2021. Altro problema riguarderebbe la comunicazione, in quanto la maggior parte dei contribuenti in attesa non avrebbe nemmeno ricevuto indicazioni sulle tempistiche necessarie a evadere la pratica.
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Il suggerimento del Comitato è quello di rafforzare la Carta dei Servizi, volta alla tutela degli utenti e valida per ogni prestazione. Indicazioni principali: modalità di accesso ai servizi e tempi per l’erogazione. Non solo: le indicazioni dovrebbero riguardare anche il riconoscimento di eventuali interessi per il ritardo della prestazione, così come i termini di prescrizione e quelli utili a un ricorso. Uno strumento istituito ma ancora lontano dal produrre effetti tangibili. Anche per via della difficoltà oggettiva di rimettersi in paro con lo smaltimento delle pratiche. Al momento, quindi, i costi portati da tali problematiche rappresentano un fardello piuttosto gravoso. Un’ulteriore critica, peraltro, è mossa contro alcuni progetti messi in campo di recente, i quali impiegherebbero risorse senza produrre utilità ai contribuenti. Un circolo vizioso che sta già costando caro.