Chi ha un’invalidità civile al 100% ed è stato dichiarato inabile al lavoro può ugualmente trovare un impiego? Cosa dicono le normative.
Per capire se chi è invalido al 100% può lavorare anche se percepisce la pensione di invalidità, erogata dall’INPS, è necessario distinguere le categorie. Vengono infatti individuate diverse tipologie di invalidità, a seguito delle quali il cittadino viene dichiarato più o meno abile a condurre un’attività lavorativa. Il riconoscimento dell’invalidità totale, infatti, non preclude la possibilità di un inserimento lavorativo. Naturalmente sarà limitato alle potenzialità del lavoratore, come da attestazione di documentazione medica. Vediamo cosa prevede la Legge vigente in merito alle diverse casistiche.
A seguito di una problematica di salute che porta all’invalidità, sia esso di natura fisica che psichica, viene attestata dall’INPS la percentuale di invalidità. Ciò significa che vengono riconosciute alla persona disabile delle minori capacità nello svolgere mansioni quotidiane, quindi anche un lavoro. Ecco perché, a sostegno di queste difficoltà, vengono attivate tutta una serie di misure per non escludere il disabile dalla vita sociale e/o lavorativa. Tra queste, anche una pensione d’invalidità che consente un alleggerimento delle spese sostenute per le cure o che comunque vuole essere un aiuto a provvedere al sostentamento di chi ha più difficoltà a inserirsi nella società.
I tipi di invalidità però sono molteplici. Riguardano sia la sfera fisica che quella psichica. In sostanza, un invalido che ha problemi di deambulazione, anche se riconosciuto al 100%, può trovare un impiego. Laddove naturalmente possa sfruttare quelle che sono denominate “capacità residue”. Quando la Commissione si mobilita per classificare il tipo di invalidità e la conseguente percentuale, infatti, viene effettuata anche una visita per comprendere quali siano le potenzialità lavorative, le inclinazioni, e la possibilità di usufruire della Legge 68/99.
Dall’entrata in vigore di questa legge, infatti, le commissioni per l’accertamento dell’invalidità non si occupano più – come in passato – della valutazione delle capacità lavorative del disabile. Questa viene effettuata da un’apposita commissione, quella per l’accertamento dell’invalidità. Concorrono alla valutazione anche assistenti sociali e/o varie figure esperte necessarie a seconda del caso, come previsto dall’articolo 4 della legge 104/92.
Una svolta importante, infatti, ha riguardato il comparto dei malati psichiatrici. Se in passato questi erano esclusi a priori dal mondo lavorativo, le integrazioni avvenute a seguito della Sentenza della Cassazione n. 50 del 2 febbraio 1990 – che dichiarava illegittimo l’Art. 5 della Legge 68 – hanno permesso di rivalutare l’inserimento sociale e lavorativo dei soggetti con problemi mentali e di promuovere la loro integrazione nella società. L’art. 9 comma 4 della legge 68/99 fa oggi quindi espresso riferimento agli invalidi civili con problemi mentali, affermando che “I disabili psichici vengono avviati su richiesta nominativa mediante le convenzioni di cui all’articolo 11. I datori di lavoro che effettuano le assunzioni ai sensi del presente comma hanno diritto alle agevolazioni di cui all’articolo 13.”
Un invalido civile al 100% dunque può lavorare. A meno che nel verbale non compaia la dicitura “totale e permanente inabilità lavorativa”, In questo caso significa infatti che le problematiche di salute, fisica o psichica, sono così gravi che la persona non può svolgere alcuna mansione, nemmeno limitata. Ed ecco perché a seguito di certificazione INPS, viene riconosciuta una pensione di invalidità, il cui ammontare aumenta in base all’incapacità lavorativa del disabile.
La risposta è “non necessariamente”. Per fortuna la Legge contempla il fatto che ogni persona invalida abbia la sua storia, che va presa in esame singolarmente. Chi è invalido al 100%, dunque, può lavorare e percepire al tempo stesso la pensione di invalidità, poiché la natura di quest’ultima è di impronta contributiva e non sostitutiva del reddito. Ovviamente, esistono dei criteri e delle indicazioni che permettono di stabilire in quale misura la pensione di invalidità può essere erogata, diminuita oppure sospesa. Si può mantenere il diritto alla pensione di invalidità civile quando il reddito complessivo – da lavoro ma cumulato anche ad altre fonti di reddito – non supera gli 8.476,26€ annui da lavoro dipendente e 4.800€ annui da lavoro autonomo. Pena la perdita della pensione, che ammonta attualmente a 287,09€ mensili.
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La questione cambia invece quando al lavoratore non sia riconosciuta soltanto un’invalidità civile al 100%, ma ne venga attribuita l’inabilità permanente ed assoluta. Ovvero, quando non ha capacità residuali di svolgere alcuna attività. In questi casi la pensione di invalidità civile, che fa parte di contributi assistenziali, diventa una vera e propria pensione reddituale, che viene calcolata in base agli anni di contributi versati dal lavoratore prima di essere dichiarato invalido al 100%. Possono percepire la pensione di invalidità totale anche quei soggetti minori di 18 anni e/o che non hanno versato contributi ai fini pensionistici.
Al momento in cui, però, viene assegnata una pensione per inabilità permanente ed assoluta, però, la persona non può più accedere al mondo del lavoro, in quanto il trattamento stesso è totalmente incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, subordinata o autonoma. Chi contravviene a questa indicazione perde ovviamente la pensione pena la decadenza dalla pensione. Infine, chi percepisce questo tipo di pensione non può essere iscritto ad albi o elenchi di professionisti.