Se hai la Partita Iva ciò che guadagni è sottoposto a tassazione. Vediamo quanto ti rimane davvero nel portafogli.
I liberi professionisti e le Partite Iva in Italia non sono evidentemente ben accetti. A partire dall’ultima novità – non proprio accolta a braccia aperte – prevista per i forfettari che dovranno passare alla fatturazione elettronica, anche chi aderisce agli altri regimi vede clamorosamente diminuire i suoi guadagni dopo aver pagato le tasse. Se hai intenzione di metterti in proprio, magari perché non riesci a farti assumere da un’azienda, leggi attentamente quanto segue, per comprendere se davvero ne valga la pena. Ecco cosa dicono i commercialisti.
Chi ha una Partita Iva va incontro a spese già a partire dalle pratiche burocratiche per attivarla. Anche se si tratta di poche centinaia di Euro, è già un primo assaggio delle “mazzate” che si possono ricevere in seguito. Chi guadagna in media 2.000€ al mese, e quindi circa 24.000€ all’anno, deve già sottrarre quasi 1.000€ per pagare il Commercialista. Figura professionale, tra l’altro, indispensabile perché pensare di fare da soli è una vera utopia. Le spese di gestione dell’attività, ovviamente altamente variabili in base alla singola situazione, sono da mettere in conto. Chi è sottoposto a regime ordinario potrà detrarre parte della spesa, mentre chi ha scelto il regime forfetario – magari perché ha un’impresa individuale e un monte di lavoro non troppo cospicuo – ha alcuni vantaggi ma non può scaricare le spese.
La differenza tra un guadagno lordo e ciò che rimane dopo aver pagato tasse e imposte è un concetto molto semplice da comprendere; la differenza sostanziale sta nel fatto che sono previste diverse aliquote a seconda del regime e del tipo di impresa che si è avviata. Quanto si andrà a pagare, infatti, sarà molto diverso tra una Partita Iva a regime forfetario e una a regime ordinario, e non solo; anche in base al Codice ATECO (la sigla alfanumerica che contraddistingue il tipo di attività ndr) si possono trovare diverse aliquote e quindi diversi importi di tasse da pagare.
Nel regime forfettario, come accennato poco sopra, non è possibile scaricare direttamente le spese sostenute per la propria attività. Viene quindi effettuato un calcolo su base fissa, secondo una precisa percentuale (che sarebbe poi il coefficiente di redditività) stabilita a seconda del tipo di attività economica.
Ad esempio, per chi lavora nel commercio (online e offline) il coefficiente di redditività è misurato al 40%. Per gli artigiani viene individuato nel 67%. Chi invece è iscritto ad un Ordine o Albo Professionale (come gli avvocati, gli ingegneri, gli architetti e i medici) siamo invece al 78%. Incredibilmente la medesima (alta) percentuale è riservata anche a “semplici” professionisti, come i consulenti, gli esperti in marketing e comunicazioni, così come i dentisti o gli amministratori di condominio, per fare degli esempi. Entrando nel comparto immobiliare si sale addirittura all’80%.
Dall’imponibile IRPEF verranno detratte le tasse: più nel dettaglio, verrà prelevata un’imposta sostitutiva con aliquota al 15% sul reddito imponibile per i forfetari, con l’eccezione al 5% per i primi 5 anni di attività (quello che viene definito regime forfetario agevolato start-up).
Per chi invece è sottoposto a regime ordinario, vengono individuati 2 scaglioni: l’imposta è del 23% se il reddito è compreso tra 0-15.000€; del 25% per redditi compresi tra 15.001 e 28.000€. Queste percentuali non sono però “pulite”, proprio perché prima bisogna scorporare tutte le spese sostenute detraibili. Si tratta quindi di un’indicazione, che non tiene inoltre conto delle varie addizionali regionali e comunali. Danno comunque un’idea di come venga calcolato l’imponibile su cui si andranno a fare i prelievi fiscali.
Le tasse non sono l’unico “prelievo forzato” da sborsare dopo tanto duro lavoro. Dempre dalla percentuale di redditività rimasta al commerciante o al professionista, verranno prelevati i contributi previdenziali. Questi variano – di nuovo – in base al tipo di attività, e le aliquote vengono stabilite dalla Cassa Previdenziale di riferimento. INARCASSA per architetti e ingegneri, ENPAP per psicologi, Gestione Separata INPS per artigiani e consulenti eccetera.
Alcuni lavoratori autonomi come gli agenti di commercio, i commercianti e gli artigiani sono praticamente “derubati”: Infatti sono tenuti a versare un Contributo minimo obbligatorio di circa 3.600€ all’anno (con scadenze trimestrali), anche se si fattura zero. Questo salasso è calcolato su un imponibile base di circa 15.000€ euro, quindi in caso di superamento di tale soglia si dovrà pagare ancora di più.
I professionisti come i consulenti, o l’amministratore di condominio, così come ad esempio una fotomodella o un fotografo, devono aderire alla gestione separata e pagare più del 27% sull’imponibile fiscale. L’unico lato positivo è che se non si guadagna niente non si deve pagare niente.
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Facciamo un calcolo un po’ approssimativo ma che può rendere bene l’idea. Chi decide di aprire una Partita Iva e pensa di andare a guadagnare almeno 2.000€ al mese sa che, come minimo, se ne andranno via 500, sempre al mese, tra tasse e previdenza. Su un reddito di 2.000€, infatti, e una base imponibile media di circa 18.000, e prendendo come riferimento il coefficiente di redditività del 78%, arriviamo a una media di 5.000€ all’anno di contributi. Il gruzzoletto è sceso a poco più di 13.000€.
Togliendo l’aliquota minima del 5% per IRPEF ciò che resta è appena 1.500€ al mese. Quando va bene. Da qui, come in un perverso gioco dell’oca, torniamo al punto uno, ovvero le spese per internet, Pc, benzina, utenze, affitti eccetera. Rimane ben poco, dunque per il sostentamento alla persona, un’utopia lontana pensare di spendere in acquisti “di lusso”, e men che meno per sperare di riuscire a mettere via qualche risparmio.