Garantire una vita dignitosa ai cittadini è il primo obiettivo di uno Stato. La pensione minima, con le sue integrazioni, è un mezzo per raggiungerlo.
Non si vive di solo pane. Uno stile di vita dignitoso deve essere garantito, non solo durante la carriera lavorativa ma anche successivamente. Per questo è stato introdotto il concetto (e il trattamento) di pensione minima. Ovvero, un importo base riconosciuto al pensionato al fine di sostenere una vita dignitosa, nel rispetto dell’articolo 6 della legge 638/83. Ma quali sono le variabili in gioco in grado di determinare l’importo della pensione minima? In Italia vigono tre sistemi di calcolo, che vanno dal retributivo al misto, fino dal contributivo. Tutto viene determinato e fissato in base ai contributi versati e alle retribuzioni percepite durante la vita lavorativa.
Considerando che molti lavoratori, per ragioni non riconducibili a scelte, possono aver conosciuto una carriera intermittente, lo Stato italiano riconosce un minimo vitale, in grado di sostenere chi lo percepisce al di sopra della soglia di povertà. Inoltre, dal momento che questo varia non solo in base ai contributi versati, è prevista anche la cosiddetta integrazione al minimo, ovvero un importo aggiuntivo qualora il trattamento base non raggiungesse la soglia minima.
Pensione minima: chi ne ha diritto nel 2022
E’ stato lo stesso articolo 6 della legge n. 638 a introdurre l’integrazione al trattamento minimo. Una percentuale che varia ogni anno, non in base ai versamenti ma al costo della vita. Considerando che, nell’anno in corso, si è assistito a una salita prevista, logica conseguenza delle incertezze e dei rincari portati dalla pandemia, l’integrazione verrà regolata di conseguenza. Fra i trattamenti che possono figurare come beneficiari dell’integrazione, rientrano la pensione di vecchiaia, l’anticipata, quella di anzianità e quella destinata ai superstiti, oltre alla pensione dai fondi speciali per gli autonomi e quella dei fondi esclusivi e sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria. Fra i trattamenti che restano fuori, rientrano le supplementari e le pensioni calcolate interamente col sistema contributivo. In pratica, tutti i lavoratori che hanno iniziato a versare contributi dopo la riforma del 1996.
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Il trattamento minimo può essere richiesto tramite patronato o credenziali Inps, per un importo di 524,34 euro per 13 mesi. Nel caso in cui il pensionato risulti solo e le pensioni siano state pagate dopo il 1994, si avrà diritto all’integrazione piena (reddito non superiore a 6.816,42 euro). All’integrazione parziale, invece, se il reddito andrà oltre i 6.816,42 euro ma restando al di sotto dei 13.632,84. Il diritto svanirà in caso di Isee superiori. Nel caso il richiedente sia coniugato (o coniugata), si avrà la possibilità dell’integrazione piena con reddito personale e complessivo, rispettivamente, entro i 6.816,42 e i 20.449,26 euro. Trattamento parziale, invece, se il reddito personale non va oltre i 13.632,84 euro e quello complessivo non supera i 27.265,68.