Attivare un fondo pensione integrativo può rappresentare sicuramente un vantaggio. Serve a garantire serenità e un adeguato tenore di vita dopo aver lavorato duramente per molti anni. Ma non è per tutti.
Per fare due calcoli e comprendere che la pensione pubblica molto probabilmente non sarà sufficiente a garantire il benessere economico non è necessario essere dottori commercialisti. Chi oggi si aggira intorno ai 45-50 anni di età, potrà contare su una pensione molto più bassa di uno stipendio medio. Per quanto riguarda i giovani lavoratori sarà anche peggio. Il sistema, almeno quello odierno, “obbliga” a pensare a delle alternative e a tutelarsi per tempo per quando arriverà l’età della pensione. Ecco dunque tutto quello che occorre sapere per decidere se aderire a un fondo pensione integrativa.
La prima cosa che viene in mente quando si parla di pensione è il tipo di lavoro che porterà, appunto, all’assegno di vecchiaia. Per i lavoratori subordinati i contributi vengono detratti automaticamente dalla busta paga, mentre altre tipologie di persone devono comunque provvedere in forme diverse. Ma la buona notizia è che praticamente chiunque può aderire ad un fondo pensione, anche i lavoratori dipendenti stessi che possono trasferire il TFR presso altri canali. Seguono i lavoratori autonomi e i professionisti. Poi coloro che percepiscono redditi non da lavoro (ad es. per affitti o altri investimenti). Infine, persino i soggetti minorenni che non hanno reddito e sono fiscalmente a carico dei genitori. Ecco che dunque tutti possono scegliere in totale libertà di iniziare una fase chiamata “di accumulo” – dopo aver stipulato il contratto con l’ente/istituto prescelto, naturalmente. L’accumulo va a costruire letteralmente quello che sarà il monte assicurativo, ovvero la somma del capitale versato più il rendimento maturato nel corso del tempo.
Una volta che il lavoratore ha maturato quantomeno l’idea di integrare la futura pensione, si trova di fronte a diverse opzioni. Esistono infatti piani e nature diverse tra gli accumuli pensionistici. Il Fondo pensione Chiuso in realtà è un tipo di integrazione riservato a specifiche categorie di lavoratori (es. i metalmeccanici) che, tramite Sindacati e Associazioni delle imprese ha stipulato un accordo collettivo. Il fondo pensione aperto invece ha le stesse peculiarità del fondo chiuso ma viene istituito da Banche o Società Assicurative e si rivolge a chiunque, indipendentemente dalla situazione lavorativa. Il patrimonio del fondo in questo caso è gestito in maniera separata e autonoma. Entrambi questi fondi si differenziano dal Piano Individuale Pensionistico perché non hanno una natura assicurativa. Questo tipo di piano, infatti, è una vera e propria assicurazione sulla vita ed è stipulabile da chiunque.
Sebbene diversi per forma, destinatari e modalità, tutti i fondi pensione sono accomunati da una normativa fiscale praticamente identica – o quantomeno con lievi differenze – che offre vantaggi non indifferenti. Per prima cosa, tutti i contributi versati durante l’anno in un fondo pensione (con un tetto massimo di 5.164€) sono interamente deducibili dal proprio reddito. Le tassazioni agevolate, poi, rispetto ad altri strumenti finanziari, di fatto rendono l’accumulo pensionistico più redditizio. E non da ultimo, il patrimonio accumulato è tutelato sotto varie forme, anche in caso di fallimento dell’Ente con cui si è stipulato il contratto, e soprattutto è impignorabile e insequestrabile. Da sottolineare inoltre che, viste le agevolazioni fiscali applicate, conviene pensare a versare anche il TFR in un fondo diverso, proprio perché verrà sottoposto a una minore tassazione finale e a rendimenti più alti di quelli previsti nel ricalcolo tradizionale.
La risposta alla domanda non è ovviamente “universale” perché vi sono molte variabili da tenere in considerazione. Qualunque sia la natura del piano prescelto, è ovvio che verrà effettuata un’analisi individuale della situazione per trovare la soluzione più idonea. Ci sono comunque degli elementi caratteristici che comunque fanno comprendere quanto si dovrà versare. Il primo fattore è ovviamente l’età: è chiaro che chi è più giovane ha più tempo per cumulare un monte contributivo e quindi può versare un contributo abbondantemente più sostenibile rispetto a coloro che sono più vicini all’età della pensione. Naturalmente anche il numero di anni di contributi versati – indipendentemente dall’età – va a incidere sui calcoli di quanto manca per costruire un monte che offra una rendita soddisfacente. C’è da tenere in considerazione, inoltre, la previsione di quanto lo stipendio (o entrata) futuro possa crescere e quindi andare a cambiare anche l’importo destinato al fondo pensione. In sostanza, per decidere il piano migliore si deve comunque fare affidamento ad esperti nel ramo, e coinvolgere nella scelta tutte le figure che conoscono la singola situazione e che possono offrire il giusto supporto.
Un altro nodo che sta molto a cuore di chi inizia un percorso di previdenza integrata nel lungo periodo, è il fattore “riscatto”. O meglio, se esista e in che forma la possibilità di utilizzare il monte cumulato prima dell’età della pensione, totalmente o solo in parte. Le casistiche sono diverse così come sono diversi i contratti che regolano questo tipo di investimento. C’è però una buona notizia. Solitamente si possono prelevare delle somme in caso di bisogno. Prendiamo ad esempio in caso di gravissimi problemi di salute dell’interessato, ovviamente dimostrabile. Il prelievo può essere effettuato in qualsiasi momento. In caso invece di necessità di acquisto/ristrutturazione della prima casa, anche per un figlio, si può riscattare il fondo pensione ma devono essere trascorsi almeno 8 anni dall’adesione ed è prevista una percentuale massima di prelievo. Anche per motivi prettamente personali (es. un viaggio di piacere) si può richiedere un riscatto, ma anche in questo caso devono essere trascorsi 8 anni e la percentuale disponibile è minore. C’è da sottolineare il fatto, inoltre, che nel caso di pensione integrativa la flessibilità di poter gestire il cumulo è superiore a quella determinata dal fondo INPS. Anche il riscatto totale del fondo è previsto in caso di eventi particolari ed eccezionali, ma non è impossibile. Parliamo ad esempio del caso in cui l’aderente perda il lavoro e rimanga disoccupato per più di 48 mesi, oppure in caso di invalidità e morte, ma anche se si perdono improvvisamente i requisiti per continuare ad aderire al fondo integrativo.
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Sulla base di tutte le informazioni di cui sopra, si può concludere affermando che un fondo pensione integrativo è certamente un’ottima carta da giocare. Un ottimo strumento per pianificare un futuro tranquillo. Non per tutti si può rivelare ottimale ma per alcune categorie di persone/lavoratori certamente sì. Prima su tutte i giovani, che hanno ampia scelta sui tipi di investimento. La loro situazione lavorativa deve essere però stabile, perché altrimenti non vi saranno molti benefici a prendere un impegno così importante. Anche per quanto riguarda i lavoratori che hanno un reddito stabile è consigliabile il fondo integrativo. Parliamo di persone che guadagnano almeno 50.000€ l’anno e hanno a disposizione almeno altri 20 anni prima di raggiungere l’età pensionabile. Più si stringono le maglie di età/reddito, infatti, e più difficile diventa sostenere un cumulo con serenità. Ma la pensione integrativa può rivelarsi perfetta anche e soprattutto per coloro che desiderano mettere da parte dei soldi contando sulla certezza (o quasi) di non utilizzarli mai, almeno per 40 anni, e che desiderano sfruttare i vantaggi fiscali, nonché la serenità di effettuare un investimento poco rischioso.