L’inflazione si fa sentire, i rincari pure: le città più care al mondo non seguono criteri geografici. Ma le tasche dei cittadini patiscono allo stesso modo.
Il concetto di città è difficilmente riconducibile alla mera urbanistica. Si tratta di un luogo in cui la vita scorre, nella quotidianità di ognuno, celando dubbi, incertezze, speranze, paure e, perché no, anche qualche gioia. Fiumi di inchiostro sono stati versati per riuscire a definire chiaramente cosa rappresenti davvero una città, come luogo fisico in cui si concentra l’aggregazione umana col suo lavoro e le sue molteplici attività, e come concetto dotato di una sorta di aura figurata, che dà spazio a sentimenti e interpretazioni varie. Certo è che, per chi la vive tutti i giorni, la città è innanzitutto il luogo in cui si dipana la propria esistenza, fatta perlopiù di giornate spese tra famiglia, lavoro e qualche momento di svago.
Da questo punto di vista, è chiaro che subentrino concetti meno plastici e più terra-terra, come il costo della vita. Un aspetto tutt’altro che da sottovalutare. Ogni agglomerato urbano ha la sua economia, il suo tenore di vita, una certa predisposizione alla spesa oppure al risparmio. Non dipende solo dai cittadini ma da fattori diversi, come la posizione geografica e la capacità del governo nazionale di favorire al meglio l’accesso a beni e servizi. Niente di strano che, in questo quadro, vi siano delle graduatorie che mettono in fila le varie città per determinare dove il costo della vita sia maggiore o minore. Come quella stilata annualmente dal settimanale britannico Economist, la Worldwide Cost of Living Survey.
La classifica delle città più care: i criteri di valutazione
Quella degli esperti britannici è un’analisi comparativa che esamina i costi di oltre 200 prodotti in 173 Paesi del mondo. Valori rivisti a causa della pandemia e che, rispetto al 2019 e al 2020, cambiano radicalmente. Anche geograficamente si ha una variazione sostanziale, con le città per definizione accostate alla ricchezza e al lusso che restano a distanza dalle primissime posizioni. Anzi, a dire la verità, nella top 10 figurano solo un paio di centri che probabilmente ognuno avrebbe immaginato nelle medesime posizioni in classifica. Si tratta di Parigi e New York, rispettivamente seconda e sesta in una graduatoria dominata dall’israeliana Tel Aviv. A seguire, metropoli come Singapore (seconda ex-aequo), poi Zurigo, Hong Kong, Ginevra, Copenaghen, Los Angeles e Osaka. Curioso che nelle prime dieci posizioni rientrino due città svizzere ma non la capitale.
Una crescita esponenziale quella di Tel Aviv, balzata dal quinto al primo posto in appena un anno. Vale lo stesso per Singapore, salita dal quarto al secondo posto. Ascese che, secondo l’Economist, sarebbero da attribuire a ragioni diverse, dall’impatto della pandemia a quello dell’inflazione. A ogni modo, è sempre il tema dei rincari a farla da padrone: la catena di approvvigionamento ha conosciuto i più alti rialzi in termini di prezzo da parecchi anni a questa parte. Una condizione che accomuna tutti ma che, in città di grandi dimensioni, rilascia il colpo di martello più forte. Basti pensare che il settimanale britannico colloca al 3,5% (su base annua) la crescita del tasso dei rincari. Il quale, nel 2020, era appena all’1,9%.