I report Istat inerenti all’aumento prezzi al consumo sono assai significativi perché tengono in considerazione e raccolgono un gran numero di dati. I dettagli
Con le sue rilevazioni, l’Istat non fa che confermare un andamento ormai ben delineato. Infatti recentemente l’Istituto ha reso noto il dato definitivo sull’aumento dell’indice dei prezzi al consumo nel mese di ottobre 2021.
Abbiamo che l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, nel mese di ottobre 2021 ha registrato un incremento pari allo 0,7% su base mensile. Del 3,0% su base annua (dal 2,5% del mese precedente). Mentre la stima preliminare era +2,9%. Ciò si può notare dai dati diffusi dall’importante Istituto di statistica.
Nel mese scorso, l’inflazione ha accelerato per il quarto mese consecutivo opo la conferma a giugno del tasso di crescita dei prezzi al consumo del mese precedente e i primi cinque mesi di marcata ripresa. Passando così da una variazione negativa emersa a dicembre 2020 ad una crescita di un’ampiezza che non si vedeva da settembre 2012 (all’epoca +3,2%).
Non stupisce che i beni energetici restino protagonisti, contribuendo per più di due punti percentuali all’inflazione e spiegando buona parte dell’incremento rispetto a settembre. Vediamo allora qualche ulteriore dettaglio sul report Istat aumento prezzi al consumo.
Aumentano i prezzi al consumo: inflazione in forte ascesa
Sapere qual è il valore dell’inflazione è importante per ottenere un quadro dell’andamento della società attuale e per capire qual è il reale potere di acquisto delle famiglie. Insomma, il report Istat è molto utile a capire qual è l’attuale contesto socio-economico del paese, e – come accennato – segnala e conferma che l’inflazione in Italia è in crescita.
In economia, l’inflazione indica una crescita generalizzata e continuativa dei prezzi nel corso del tempo. Detto indicatore si rivela di indubbia rilevanza in quanto l’aumento del livello dei prezzi condiziona e limita il potere di acquisto delle famiglie. Al contempo l’inflazione ha riflessi sull’andamento generale dell’economia e sull’orientamento delle politiche monetarie delle banche centrali.
Il report Istat che ha ad oggetto l’aumento prezzi al consumo è degno di nota perché, grazie a quest’ultimo, si può calcolare l’inflazione. Per farlo, è necessario costruire un indice dei prezzi al consumo e nella maggior parte dei paesi la misurazione di questo indice è attribuita all’Istituto nazionale di statistica. Da noi avviene appunto grazie all’attività dell’Istat, poi dettagliatamente illustrata nei report Istat, pubblicati periodicamente.
L’Istituto di statistica opera sulla base dei prezzi di un insieme, detto paniere, di beni e servizi, che rappresenta i consumi delle famiglie, e calcola così l’indice dei prezzi al consumo. Da notare che nel paniere dei prezzi al consumo dell’Istat sono presenti ad esempio, con differenti pesi relativi, i prezzi dei prodotti di abbigliamento e delle calzature, dei prodotti alimentari, dei servizi sanitari, dei trasporti, dell’elettricità, dell’acqua e tanto altro.
Quali sono i 3 indici principali dei prezzi al consumo?
In particolare, l’Istat ha il compito di elaborare tre indici principali dei prezzi al consumo. Essi sono i seguenti:
- L’indice dei prezzi al consumo Nazionale per l’Intera Collettività (Nic) che ha la funzione di determinare la variazione nel tempo dei prezzi di beni e servizi acquistati sul mercato per i consumi finali individuali. Detto indice è utilizzato come misura dell’inflazione per l’intero sistema economico.
- L’indice dei prezzi al consumo per le Famiglie di Operai e Impiegati (Foi), il quale calcola la variazione nel tempo dei prezzi al dettaglio, dei beni e servizi correntemente acquistati dalle famiglie di lavoratori dipendenti.
- L’Indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca), sviluppato per assicurare una misura dell’inflazione comparabile a livello europeo. Ciò avviene per il tramite dell’utilizzo di un impianto concettuale, metodologico e tecnico condiviso.
A differenza dei primi due indici, l’indice Ipca si collega al prezzo effettivamente pagato dal consumatore e taglia fuori alcune voci presenti nel paniere degli altri due indicatori, tenendo conto anche delle riduzioni momentanee di prezzo (come saldi, sconti e promozioni).
Come ribadito dall’Istituto nel suo recente report Istat, gli indici dei prezzi al consumo misurano le variazioni nel tempo dei prezzi di un gruppo di prodotti (paniere), rappresentativo di tutti i beni e servizi destinati al consumo finale delle famiglie, acquistabili sul mercato per il tramite transazioni monetarie. Sono così escluse le transazioni a titolo gratuito, gli autoconsumi, i fitti figurativi, ecc.
Rapporto Istat: le norme di riferimento per la rilevazione dei prezzi al consumo
Ovviamente l’attività di rilevazione delle variazioni dei prezzi al consumo, svolta dall’Istat e delineata in forma scritta nei periodici report Istat, non è libera, ma è disciplinata da varie leggi e regolamenti che definiscono i soggetti coinvolti (l’Istituto nazionale di statistica e i Comuni) e le relative funzioni. Ci riferiamo in particolare alle seguenti fonti:
- il Regio Decreto Legge n. 222 del 1927, che dà l’incarico all’Istituto centrale di statistica di promuovere la formazione di indici del costo della vita in tutti i comuni con più di 100.000 abitanti e in altri, preferibilmente scelti tra i capoluoghi di provincia o tra quelli con più di 50.000 abitanti che abbiano uffici di statistica idonei;
- La legge n. 621 del 1975, la quale ha avuto la funzione di modificare ed aggiornare il Regio Decreto;
- il lgs n. 322 del 1989, che regola le attività di rilevazione, elaborazione, analisi, diffusione e archiviazione dei dati statistici compiute dagli enti e organismi pubblici di informazione statistica, allo scopo di realizzare l’unità di indirizzo, l’omogeneità organizzativa e la razionalizzazione dei flussi a livello centrale e locale.
La stabilità dei prezzi è un obiettivo condiviso
È opportuno notare che l’indice armonizzato europeo Ipca (o Hipc) è di rilevanza strategica perché usato come indicatore di verifica della convergenza delle economie dei paesi membri della UE, al fine della permanenza o dell’ingresso nell’Unione Monetaria.
L’indice Ipca è inoltre sfruttato come riferimento dalla Banca Centrale Europea (Bce) per l’attuazione della politica monetaria europea. D’altronde l’attività primaria della BCE è quella di contribuire a mantenere nell’Eurozona la stabilità dei prezzi, evitando dunque aumenti dell’inflazione (come invece sta succedendo in Italia), peraltro segnalati dal recente report Istat aumento prezzi al consumo.
Vero che in campo economico, la stabilità dei prezzi è ritenuta una delle condizioni fondamentali per l’innalzamento del livello dell’attività economica e dell’occupazione. In altre parole, è essenziale per favorire i consumi e per l’incremento delle occasioni di lavoro.
Ciò che sta succedendo in Italia in quest’ultimo periodo, con l’aumento dell’inflazione e i prezzi che salgono, finisce invece per erodere il potere d’acquisto delle famiglie, di fatto impoverendole.
In economia, il fenomeno inverso rispetto all’inflazione prende il nome di deflazione, vale a dire un’inflazione negativa con prezzi in calo – ed è del pari pericoloso. Esso infatti può bloccare l’economia in quanto – in sintesi – i prezzi di vendita delle imprese non coprono i costi di produzione e le mandano in crisi.
Le ripercussioni sul lavoro
Non solo, la mancanza di stabilità dei prezzi, e dunque la presenza dell’inflazione o della deflazione, portano gli investitori a investire di meno e mettono a rischio la fiducia nell’economia, con conseguenze negative anche e soprattutto per il mondo del lavoro.
Analisi come i report Istat sull’aumento prezzi al consumo, sono utili altresì a ribadire il ruolo delle banche centrali, le quali stabiliscono degli obiettivi di inflazione a cui ancorano la propria politica monetaria, vale a dire gli interventi convenzionali sui tassi d’interesse principali o non convenzionali, come il ben noto quantitative easing.
Finalità della Banca Centrale Europea è infatti portare l’inflazione su un livello prossimo ma al di sotto del 2%. Questo livello dei prezzi è ritenuto, dalla maggior parte delle banche centrali del mondo, ottimale al fine di garantire i diversi attori del contesto economico. In altre parole, mantenere il tasso d’inflazione attorno al 2%, significa avere prezzi stabili: una delle condizioni basilari per la crescita occupazionale ed economica di un paese. E ciò ovviamente vale anche per l’Italia.
Prezzi al consumo ottobre 2021: i dati confermano l’andamento degli ultimi mesi
Vediamo ora da vicino qualche interessante dato relativo al citato report Istat. Le percentuali infatti danno un immediato quadro della situazione. Come detto all’inizio, nel mese di ottobre, l’Istat ha rilevato che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, ha registrato un incremento dello 0,7% su base mensile e del 3,0% su base annua (da +2,5% del mese precedente); la stima preliminare era +2,9%.
La nuova accelerazione, su base tendenziale, dell’inflazione è soprattutto legata, anche per quanto riguarda ottobre, alla crescita dei prezzi dei beni energetici (da +20,2% di settembre a +24,9%) sia a quelli della componente regolamentata (da +34,3% a +42,3%) sia ai prezzi di quella non regolamentata (da +13,3% a +15,0%). Aumentano rispetto al mese di settembre, ma in modo minore, anche i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +2,0% a +2,4%).
Dal punto di vista tecnico, il report Istat evidenzia altresì che l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, cresce da +1,0% a +1,1%, invece quella al netto dei soli beni energetici resta stabile a +1,1%
L’incremento congiunturale dell’indice generale è correlato prevalentemente alla crescita dei prezzi dei beni energetici regolamentati (+17,0%) e solo in misura minore a quella dei prezzi degli energetici non regolamentati (+1,0%) e degli alimentari non lavorati (+0,7%).
Molto interessante rilevare che crescono i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +0,9% a +1,0%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +2,6% a +3,1%). Ma ciò probabilmente era già stato notato dagli italiani: i dati Istat confermano una situazione già piuttosto evidente.
In particolare, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) presenta un incremento dello 0,9% su base mensile e del 3,2% su base annua (da +2,9% di settembre). Mentre la stima preliminare era pari a +3,1%.
L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, ha presentato un aumento dello 0,6% su base mensile e del 3,0% su base annua.
Rapporto Istat: come funziona la rilevazione? Le fonti utilizzate
Ovviamente, l’indagine svolta dall’Istat è assai articolata. Infatti, i dati che concorrono alla costruzione degli indici mensili dei prezzi al consumo – con le relative variazioni – sono ottenuti con l’utilizzo di una varietà di fonti:
- la rilevazione territoriale, condotta dagli Uffici comunali di statistica (UCS);
- la rilevazione centralizzata, svolta dall’Istat in via diretta o con la collaborazione con grandi fornitori di dati;
- gli scanner data provenienti dalla GDO;
- la fonte amministrativa.
Nel suo report Istat aggiornato, relativo all’aumento dei prezzi al consumo, l’Istituto fa notare che nel 2021, i prodotti rilevati in modo esclusivo con la rilevazione territoriale ammontano, in termini di percentuale, a ben il 56,2% del paniere (dal 58,6% nel 2020), contro il 22,8% dei beni e servizi a rilevazione esclusivamente centralizzata (dal 22,7% nel 2020). Ciò chiaramente conferma il dettaglio e la precisione delle analisi svolte dall’Istat.
L’Istituto fa notare altresì che con l’acquisizione dei dati scanner dalla GDO sono rilevati tutti i prodotti cosiddetti ‘grocery’, che costituiscono il 12,8% in termini di peso. Più nel dettaglio, la rilevazione dei prezzi al consumo dei prodotti grocery – ossia beni alimentari confezionati, beni per la cura della casa e della persona – con scanner data interessa 5 tipologie distributive della Grande Distribuzione Organizzata: ipermercati, supermercati, discount, piccole superfici di vendita (note anche come “libero servizio”, punti vendita con superficie tra i 100 e i 400 mq) e specialist drug.
A queste tre modalità si somma l’uso della citata fonte amministrativa, la base dati MISE dei prezzi dei carburanti, che pesa per il 3,7% sul paniere.
Non solo: per certi prodotti, che incidono per il 4,5% sul paniere di riferimento, la rilevazione è condotta con modalità mista.
Sul piano territoriale, il report Istat sull’aumento prezzi al consumo fa notare che nel 2021 i comuni che concorrono al calcolo degli indici di rilievo, sono 80 per tutti gli aggregati di prodotto del paniere (di cui 19 capoluoghi di regione, 60 capoluoghi di provincia, 1 comune non capoluogo con più di 30.000 abitanti). Sono invece 12 i comuni che partecipano al calcolo degli indici per un sottoinsieme di prodotti. Ci si riferisce a tariffe locali quali fornitura acqua, raccolta rifiuti, raccolta acque reflue, gas di rete per uso domestico, trasporti urbani, taxi, mense scolastiche ecc.
Da notare ancora che, nell’ambito dei 92 comuni (80 per il paniere completo e 12 per un sottoinsieme di prodotti) che partecipano quest’anno alla rilevazione dei prezzi al consumo vi sono circa 43mila unità di rilevazione (tra punti vendita, imprese e istituzioni), in cui gli Uffici comunali di statistica monitorano il prezzo di almeno un prodotto. A queste rilevazioni si sommano anche quasi 8mila abitazioni per la rilevazione dei canoni di affitto.
Ecco perché i dati che emergono nel report Istat sono da ritenersi nel complesso accurati e significativi, e tali da tracciare nitidamente il quadro dell’aumento dei prezzi al consumo, e dunque dell’inflazione.
Sono circa 390mila le quotazioni che contribuiscono al calcolo dell’inflazione, fatte pervenire mensilmente agli uffici centrali Istat dagli Uffici comunali di statistica, in aumento rispetto alle 384mila del 2020.
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La rilevanza del rapporto Istat sull’aumento prezzi al consumo e il fattore Covid
Nel report Istat, l’Istituto ha inteso precisare che l’emergenza sanitaria correlata alla diffusione del coronavirus e le misure varate dall’Esecutivo per contrastare i rischi di ulteriore estensione del contagio hanno determinato, soprattutto nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020, varie criticità per il processo di produzione degli indici dei prezzi al consumo e soprattutto per la fase di raccolta diretta dei dati.
Vero è però che tra la fine di maggio e il mese di giugno 2020 la costante riduzione della gravità dell’emergenza sanitaria e la riapertura graduale di buona parte delle attività commerciali di offerta di beni e servizi di consumo hanno ridotto le criticità dei mesi anteriori, a partire da una drastica diminuzione del numero di mancate rilevazioni che aveva raggiunto il picco nel mese di aprile 2020.
L’Istat ha fatto altresì notare che con il DPCM del 3 novembre 2020 sono state varate nuove limitazioni, differenziate a livello regionale, le quali hanno portato, almeno in parte, le stesse criticità del periodo marzo-maggio. Dette limitazioni sono state poi rafforzate (e uniformate su scala nazionale a partire dal 24 dicembre) con il Decreto Legge 18 dicembre 2020 n. 172.
Tuttavia, l’Istituto tiene a precisare che in tutti questi mesi di emergenza sanitaria, la struttura dell’indagine sui prezzi al consumo, fondata su un approccio multicanale per l’acquisizione dei dati necessari per il calcolo dell’inflazione, ha permesso di diminuire gli effetti negativi di queste criticità e, soprattutto, del più alto numero di mancate rilevazioni che ha interessato i mesi di marzo aprile e maggio e in misura minore i mesi da giugno a dicembre.
Le difficoltà di reperire dati dai Comuni
Da rimarcare comunque che i problemi maggiori hanno riguardato l’attività di raccolta dati in carico agli Uffici Comunali di Statistica, che ha potuto svolgersi in modo non facile visti i problemi contingenti. In particolare nei mesi in cui è stata sospesa o ridotta la rilevazione presso i punti vendita fisici, le attività degli Uffici Comunali di Statistica sono state compiute sfruttando, se possibile, anche il canale telefonico e web per l’ottenimento dei dati presso le unità di rilevazione, di cui al piano di campionamento locale.
Invece, per quanto attiene alle altre fonti dell’indagine, vale a dire la rilevazione centralizzata, gli scanner data e i grandi fornitori di dati e i dati di fonte amministrativa – sopra citati – non si sono registrati problemi nella disponibilità delle informazioni, finalizzate alle elaborazioni degli indici dei prezzi al consumo.
Con il D.L 52 del 22 aprile 2021 – ossia il Decreto riaperture – sono state via via cancellate gran parte delle restrizioni introdotte dal Governo Conte bis nei mesi anteriori, consentendo la riapertura di quasi tutte le attività economiche e dunque la possibilità di riprendere una mobilità sul territorio non legata a motivazioni di stretta necessità, pur restando le limitazioni dovute alla necessità di rispettare il distanziamento sociale.
Nel mese di settembre 2021 – fa notare l’Istituto nel suo report Istat sull’aumento prezzi al consumo – tutte le regioni italiane si sono trovate in zona bianca. Ciò chiaramente ha reso un po’ più agevole l’attività di rilevazione dei prezzi e dunque dell’andamento dell’inflazione.
Concludendo, da notare che, in adempimento al Regolamento europeo n. 792 del 2016, i dati dell’indagine sui prezzi al consumo sono trasmessi dall’Istat, due volte al mese, ad Eurostat. I maggiori indicatori, archiviati nel database di Eurostat, sono consultabili all’indirizzo Database – Eurostat (europa.eu).