Nonostante sia connessa a condizioni fisiche estremamente gravi, l’indennità di accompagnamento potrebbe non essere riconosciuta dall’Inps. Ecco come agire.
Tendenzialmente non esistono ragioni affinché una persona affetta da invalidità totale riconosciuta non debba ricevere l’indennità prevista. Ad esempio, i titolari dell’accompagnamento usufruiscono delle disposizioni previste con la legge 18 del 1980, nella quale si riconosce il trattamento a tutti coloro non più in grado di deambulare senza l’assistenza continua da parte, appunto, di un accompagnatore. In sostanza, al fine di ottenere l’indennità, l’impossibilità di compiere gli atti quotidiani, anche i più semplici, diventa un “requisito”. Ragioni talmente lampanti che appare quantomeno difficile che possa accadere qualcosa tale da far sì che la richiesta venga respinta.
Si tratta infatti di una prestazione erogata indipendentemente dall’età del richiedente, per un ammontare pari a 522 euro mensili. Un aiuto importante per chi si trova costretto in situazioni di estrema difficoltà motoria, specie in virtù di un’assistenza continua che non sempre può essere fornita da un suo familiare. Eppure, nonostante il quadro di estrema gravità, esistono delle circostanze in cui l’Inps può riservarsi di rigettare la domanda dell’indennità di accompagnamento.
Richiesta di accompagnamento rigettata: le soluzioni
Si tratta chiaramente di casi limite. Eppure, anche se espletata correttamente (inviando richiesta tramite un Patronato per poter fissare la decisiva visita medica), può accadere che la richiesta venga respinta dall’Istituto previdenziale. E questo potrebbe verificarsi proprio a seguito di un esito negativo della visita. Una situazione piuttosto spiacevole, considerando che sarà necessario affidarsi all’aiuto di un legale, il quale avrà il compito di interpellare il Tribunale con un ricorso. La motivazione sarà l’accertamento tecnico preventivo. Si tratta di una richiesta affinché venga nominato un consulente medico d’ufficio, al quale sarà affidata una nuova visita medico-legale. Quest’ultima, chiaramente, dovrà fornire un secondo giudizio sulla condizione dell’interessato e verificare se l’esito negativo della commissione sia fondato.
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Accanto all’ausilio del legale, dovrà figurare quello di un medico in veste di consulente di parte. Il suo ruolo non sarà di mera consulenza. Dal momento che un consulente nominato dal giudice avrà il compito di sottoporre a una visita il soggetto richiedente l’accompagnamento, redigendo una relazione finale al termine del procedimento, al medico spetterà, eventualmente, l’aiuto nella contestazione delle conclusioni da parte del legale. Il motivo è chiaro: un avvocato non potrebbe entrare nel merito di questioni mediche. Le due figure professionali sono quindi entrambe imprescindibili nell’intera procedura.