Beni confiscati alla mafia, oltre 1500 non ancora assegnati: tutti gli sprechi nel report Istat

Il recentissimo report Istat sui beni confiscati alla mafia descrive un quadro sconcertante e un sostanziale spreco di risorse. A rimetterci, in primo luogo, i membri delle comunità locali.

beni confiscati alla mafia

Come è ben noto, gli studi e le analisi dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, sono sempre molto utili a farci meglio comprendere lo stato della società italiana. Sotto differenti punti di vista.

Recentemente l’Istituto ha pubblicato un report assai interessante. “L’uso dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Un modello di integrazione sui dati del Comune di Palermo”.

Proprio sui risultati di questa approfondita indagine, vogliamo soffermarci di seguito. Infatti, c’è un numero che segnala con immediatezza lo stato di salute dell’antimafia in Sicilia. Quale? La percentuale dei beni confiscati che tornano alla collettività: soltanto il 45%, ovvero meno di uno su due.

Ma vi è molto altro che merita di essere visto da vicino, in riferimento al recente report Istat sull’uso dei beni confiscati alla mafia. Infatti, come è agevole notare, si tratta di un tema dai numerosi risvolti per la comunità locale, ma anche sul piano dell’oculato impiego di risorse a beneficio del territorio.

In Sicilia intanto ecco la denuncia delle associazioni: “Immobili in cattivo stato, mancano risorse e personale per gestirli“, affermano. Mentre un’indagine della Regione ha rilevato che tanti Comuni sono impreparati verso questa opportunità per il territorio, derivante dalla confisca. Non solo. I finanziamenti per le ristrutturazioni restano nel cassetto. Ecco allora vari spunti di interesse. Si rende doveroso considerare da vicino il recente report Istat sui beni confiscati alla mafia.

Che cos’è l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica

Chiunque avrà sentito parlare, almeno una volta nella vita, delle indagini dell’Istat. Forse non tutti hanno ben chiaro perché questo istituto è così importante per i dati raccolti, le analisi svolte e i report pubblicati. Vediamo allora di seguito di ricapitolare in sintesi in cosa consiste l’Istat.

L’Istituto nazionale di statistica è un ente di ricerca pubblico. È attivo in Italia dal lontano 1926. Si tratta del maggiore produttore di statistica ufficiale a supporto dei cittadini e dei decisori pubblici. Molto spesso le sue indagini trovano infatti spazio nei notiziari televisivi e sui più noti quotidiani.

Sul piano organizzativo, la sede centrale è situata a Roma. L’Istat però è operativo di fatto su tutto il territorio nazionale con una rete di uffici territoriali presenti nei capoluoghi di regione e nelle province autonome, che collaborano con gli enti locali. Inoltre, nella sede centrale è inserito un Ufficio stampa. Gestisce e coordina in modo esclusivo il rapporto con i mezzi di informazione nazionali e internazionali.

L’organizzazione dell’Istituto è stata rivista e modificata tramite il Decreto del Presidente della Repubblica n. 166 del 2010. Gli organi di governo sono il Presidente – che è nominato con decreto del Capo dello Stato – e ha la rappresentanza legale dell’Istat, e il Consiglio, che ha compiti di indirizzo, programmazione e controllo.

L’Istat è incluso nel Sistema Statistico Europeo. Collabora con gli altri soggetti del sistema statistico internazionale.

Beni confiscati alla mafia: l’obiettivo del report Istat

La mission dell’Istituto nazionale di statistica, anche tramite i report Istat pubblicati periodicamente, consiste nel servire la collettività per il tramite della produzione e la comunicazione di informazioni statistiche, analisi e previsioni di alta qualità in ambito economico, sociale e ambientale. E come vedremo tra poco, proprio la recente analisi Istat sui beni confiscati alla mafia è molto interessante sul piano economico-sociale.

I dati prodotti e analizzati dall’Istituto sono oggi condivisi attraverso le moderne tecnologie e l’uso della rete internet. Sul web sono disponibili moltissimi comunicati stampa e banche dati.

In particolare, il principale accesso ai dati è I.Stat, il datawarehouse dell’Istituto. Qui le informazioni sono organizzate per temi, illustrate in tavole multidimensionali e arricchite da metadati. L’accesso al datawarehouse è libero e a costo zero per l’utente.

L’Istat presenta i propri contenuti, diffusi in formati aperti. Perciò, grafici, dati, informazioni, widget sono riutilizzabili e incorporabili dagli utenti su differenti siti web. Per questa via, è possibile riprodurre, distribuire, trasmettere e adattare liberamente dati e analisi dell’Istat, anche a scopi commerciali. “Con la sola condizione che venga citata la fonte (licenza creative commons)”, si trova indicato sul sito web ufficiale dell’Istituto.

La metodologia d’indagine dell’Istituto nazionale di statistica

Come opportunamente indicato dallo stesso Istituto nazionale di statistica nelle sue pagine web ufficiali: “Il contributo metodologico qui presentato è parte di un progetto di ricerca sperimentale sulla valutazione delle politiche antimafia e di riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Tale ricerca ha coinvolto le regioni Puglia e Sicilia con l’obiettivo di progettare basi informative per l’analisi e la valutazione delle politiche antimafia, a supporto della governance territoriale”.

Ecco in sintesi, dunque, quelle che sono le ragioni alla base del citato report Istat sui beni confiscati alla criminalità organizzata: una sorta di resoconto che si focalizza soprattutto su cosa non va nel meccanismo e sul grande spreco, che emerge dal mancato riutilizzo di più della metà dei beni che vanno a finire nelle mani dello Stato. Questi dati debbono aiutare a migliorare le politiche antimafia e contribuire alla buona governance territoriale.

Il report Istat appare organizzato secondo una precisa linea d’indagine, che l’Istituto ha voluto chiarire: “In particolare, in questo lavoro viene illustrato un modello prototipale di flusso informativo sui beni immobili confiscati destinati – ovvero quelli confiscati definitivamente e trasferiti per essere riutilizzati – realizzato per il Comune di Palermo. A tal fine, sono stati messi a punto sia un processo di revisione e di integrazione di dati tra diverse fonti amministrative, di standardizzazione e di classificazione delle informazioni sull’utilizzo effettivo dei beni, sia una proposta di indicatori e di sistema informativo per la diffusione dei dati”.

Inoltre, il progetto in questione mira a sostenere le strategie dell’Istat volte a individuare criticità e a condurre ad un miglioramento delle fonti e un aumento della rilevanza dell’informazione statistica. Ciò va a tutto vantaggio della collettività e dei decisori pubblici.

Beni confiscati alla mafia: uno spreco sotto l’occhio di tutti

Come accennato all’inizio di questo articolo, c’è un elemento che proprio non va, nell’indagine dell’Istituto nazionale di statistica, relativamente ai beni confiscati alla criminalità organizzata.

Infatti la percentuale dei beni confiscati che ritornano di fatto alla collettività, corrisponde ad un ‘misero’ 45%. Davvero troppo poco per considerare buono lo stato di salute dell’antimafia in Sicilia.

Anzi, siamo di fronte ad un dato preoccupante, che emerge con forza dall’ultimo rapporto presentato dall’ufficio della Regione Sicilia, il quale ha la valenza di considerare da vicino il tesoro più grande della regione, ossia quello sottratto ai boss della mafia.

Il perimetro d’indagine – non stupisce – è molto ampio: da Palermo a Catania, da Trapani ad Agrigento, da Messina a Ragusa, vero è che ben 997 fabbricati e 278 terreni ospitano attività sociali e istituzionali, ma è altrettanto vero che ci sono anche 802 fabbricati e 768 terreni rimasti finora inutilizzati. Dal punto di vista pratico, si tratta di 1570 beni che sono ancora nelle mani di mafiosi e soggetti abusivi.

Le cause dello spreco

E’ chiaro che incuriosisce capire per quali cause, siamo innanzi ad una situazione fallimentare. Ebbene, vi è un duro atto d’accusa da parte degli uffici della Regione Sicilia, che hanno a che fare con la situazione in modo assai ravvicinato. Ecco che cosa ne emerge sul perché del 55% dei beni finora rimasto inutilizzato, ovvero quali sono le cause:

  • mancanza delle risorse necessarie alla ristrutturazione e alla riconversione (36,11 %):
  • mancato avvio o ultimazione delle collegate procedure di assegnazione (30,57 %);
  • occupazioni da parte di terzi con o senza titolo (6,82 %);
  • avvisi pubblici per l’assegnazione andati deserti (3,06%);
  • strutture in quota indivisa (5,67 %).

Come si può agevolmente notare, si tratta di cause assai diverse tra loro che nell’insieme, hanno contribuito a dar luogo ad una situazione quale quella attuale, e che il report Istat ha mostrato con estrema chiarezza.

Perché il meccanismo della confisca è in tilt

Il report Istat è molto utile perché con nitidezza descrive una vera e propria sconfitta dello Stato, che non riesce a far fruttare quanto di buono compiuto in termini di lotta alle organizzazioni criminali.

Vero è che forze dell’ordine e magistratura proseguono all’opera di sequestro dei beni a cosche in perenne riorganizzazione. Come è ben noto, quella alla mafia è una guerra che va combattuta giorno per giorno, conquistando via via pezzi dell’immenso patrimonio della criminalità.

Il problema è però rappresentato dal fatto che lo Stato non è ancora stato veramente in grado di mettere in campo una macchina organizzata ed efficiente per la gestione dei beni sottratti ai boss.

Le problematiche legate al recupero

Se la fase della confisca registra risultati confortanti, a preoccupare è appunto la fase di recupero di quanto sottratto, a beneficio della comunità territoriale.

Nel recente report Istat, l’Istituto evidenzia ciò che non va in un meccanismo mai davvero funzionale rispetto alla situazione. “L’ambito di policy delle politiche antimafia è caratterizzato da un approccio burocratico centrato sul processo, piuttosto che sul contenuto degli interventi e sui soggetti coinvolti: (…) sono disponibili dati elementari sui beni confiscati e destinati, ma non sul loro effettivo utilizzo“, sono le parole usate nell’ambito dell’indagine, che con efficacia riassumono il quadro circa il percorso dei beni confiscati alla mafia e la loro gestione.

Tramite il citato report Istat, ci possiamo rendere conto del fatto che l’Agenzia nazionale beni confiscati non ha ancora il pieno controllo di tutto il patrimonio che è stato nelle mani dei boss.

Vero è che la Regione Sicilia ha domandato informazioni ai 205 Comuni siciliani che sono al momento assegnatari dei patrimoni confiscati. Ebbene, soltanto 161 hanno risposto. Ci si potrebbe chiedere quali sono i motivi di questa disarmante situazione. Ebbene, i dati del report Istat, che trovano un significativo appoggio in quanto rilevato dalla Regione Sicilia, ci dicono che le ragioni sono da ricondurre anzitutto all’incapacità e all’impreparazione nel gestire immobili di grande importanza.

Poche richieste e progetti spesso senza qualità

Ma non solo. Attraverso l’indagine Istat sui beni confiscati, possiamo scoprire che soltanto 45 enti locali hanno chiesto finanziamenti per la sistemazione di 80 immobili. E i progetti presentati non hanno sicuramente brillato per qualità, perché sono stati assegnati soltanto 23 milioni di euro sui 40 richiesti. Vari i motivi alla base dell’esclusione: assenza dei requisiti, punteggio insufficiente, progetti presentati oltre il termine previsto. E ancora è emerso un altro dato assai sconfortante: vi sarebbe nella regione Sicilia poca disponibilità di risorse da assegnare alla redazione dei progetti.

Sempre più necessaria la riforma della gestione dei beni confiscati

Il report Istat 2021 sui beni confiscati alle mafie ha però un aspetto positivo: si tratta di un documento che deve incentivare al varo di una vera e propria riforma del sistema di gestione dei beni confiscati. La commissione regionale antimafia ha messo in risalto un altro elemento nient’affatto positivo: su 780 imprese definitivamente confiscate in Sicilia, al momento soltanto 39 sono di fatto operative. Per quanto attiene a quelle destinate, esclusivamente 11 su 459 non sono state poste in liquidazione.

Non è appunto mancato il contributo della commissione nazionale antimafia, la quale ha inteso cercare le cause dello spreco sotto gli occhi di tutti. Infatti, ha realizzato una mappa della ripartenza a cominciare dai problemi, così elencati:

  • la distanza temporale eccessiva tra confisca definitiva e destinazione;
  • le condizioni dei beni da destinare, spesso oggetto di atti vandalici o comunque danneggiati dall’incuria;
  • le questioni legate agli abusi edilizi;
  • i bandi chiusi senza richieste da parte delle associazioni;
  • la mancanza di personale che permetta di seguire i beni confiscati o redigere il regolamento comunale.

Tuttavia, come opportunamente segnalato dalla commissione nazionale antimafia, il problema clou è un altro. Si tratta della mancanza di fondi per valorizzare la massa di beni confiscati alla mafia, e non utilizzati.

Il caso di Palermo

E proprio la città di Palermo è al centro dello spreco. Se quasi 4 beni confiscati su 10 (il 38,7% e circa 6mila su 15.500) si trovano nella regione Sicilia, a Palermo sono ben il 12,1%.

Un altro grave limite che affligge i beni confiscati alla mafia è quello legato alle cattive condizioni degli immobili: per sistemarli si può anche toccare la cifra non esigua di 100mila euro. Inoltre, talvolta passano molti anni tra l’assegnazione e la presa in possesso. Senza contare le lungaggini burocratiche, che non di rado appesantiscono tutto l’iter e rendono molto più difficile l’opera di recupero dei beni confiscati ai gruppi criminali. Ecco perché è necessaria una riforma sostanziale del sistema di gestione dei beni confiscati.

D’altronde, è ben noto a chi si occupa di queste delicate operazioni che c’è una vera e propria montagna di pratiche e documenti nell’ufficio del Servizio Beni confiscati, demanio e inventario del Comune di Palermo, che ha un organico di 19 persone, tra cui tre funzionari e un dirigente, con il compito di gestire il più grande patrimonio d’Italia.

In particolare l’assessore al Patrimonio del Comune di Palermo, Tony Sala, ha recentemente dichiarato che: “Molti beni non sono in condizioni ottimali e i comuni avrebbero bisogno di fondi per gestirli. In passato, per ragioni storiche, sono stati acquisiti troppi beni, ma oggi la ragioneria generale è molto rigida, basti vedere l’ultima pratica sull’acquisizione di immobile per il settore scuola a Borgo Nuovo“.

Insomma, come si può notare, i motivi e gli elementi che rendono farraginoso il meccanismo sono certamente più d’uno e comprendere quali sono, certamente aiuta a capire il problema della riqualificazione dei beni confiscati alle mafie e a trovare di conseguenza delle soluzioni.

Il problema delle occupazioni dei senzatetto

Dal report Istat emerge un altro dato degno di nota. Nell’ambito dei beni confiscati alle mafie ed acquisiti dal Comune di Palermo, permane il nodo costituito dalle occupazioni dei senzatetto. Esse evidentemente frenano l’iter di riqualificazione degli immobili. A Palermo, in particolare, 81 immobili sono occupati abusivamente, ossia poco meno dell’8%.

Nell’elenco aggiornato sul sito del Comune si può trovare indicato: “Occupato abusivamente da nucleo familiare, procedure di sgombero in corso“. Caso emblematico, che ben rappresenta la situazione odierna, è quello di un mandarineto che con 240mila euro è stato reso uno spazio sociale, ma che a fine 2017 è stato occupato e messo a soqquadro da due famiglie prima di essere sgomberato e riconsegnato finalmente alle associazioni.

Il nuovo regolamento comunale

Da rimarcare che qualche mese fa, a maggio, il Consiglio comunale di Palermo ha emanato un nuovo regolamento comunale sui beni confiscati alle associazioni mafiose, che rimarca la prevalenza dell’uso abitativo e che aiuta a fare un po’ di chiarezza in una materia complessa.

In questo momento, in base ai dati del report Istat, a Palermo abbiamo la seguente situazione: 181 i beni con uso abitativo, gestiti da associazioni, enti ecclesiastici, cooperative e fondazioni.

E’ ben chiara la necessità di dare un’abitazione a chi non ce l’ha, proprio in una città in cui l’emergenza abitativa è una questione molto seria. “Nella città dell’emergenza abitativa l’utilizzo del patrimonio confiscato per dare una casa a chi non ce l’ha è necessario, ora si potranno sperimentare anche l’autorecupero o il co-housing e questo consentirà di utilizzare molte più abitazioni“, ha spiegato il consigliere del Comune Fausto Melluso, che ha seguito da vicino tutto il percorso del citato regolamento varato lo scorso maggio.

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Beni confiscati alla mafia: gli aspetti positivi e l’uso sociale

Tuttavia in Sicilia non tutto non funziona, qualcosa da salvare c’è. Ci riferiamo in particolare all’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, per cui la regione Sicilia è al primo posto in Italia, con ben 204 soggetti gestori. In special modo nel capoluogo di regione, il riuso sociale è molto in voga: qui i beni che partecipano all’iniziativa sono 180. Gli immobili sono oggi sfruttati per dare lavoro a ex detenuti, migranti, disabili e non solo.

Secondo l’Istituto di statistica, l’intento che ha guidato il report Istat è stato quello di focalizzarsi sulle potenzialità, più che sui limiti, dei dati al momento disponibili, proprio per individuare in modo più chiaro quelle che sono le possibili linee di sviluppo per la produzione di nuove basi informative. E sicuramente il report Istat sui beni confiscati è di indubbio rilievo, per le dimensioni del fenomeno dei beni confiscati alle mafie, sul territorio di Palermo.

Il lavoro emerso dal recente report Istat è di rilievo anche per il supporto offerto dal Servizio beni confiscati del Comune di Palermo. Vero è che l’archiviazione dei dati è soltanto un aspetto di una questione assai complessa, mentre sono non pochi gli adempimenti burocratici, così come i problemi concreti da risolvere e i soggetti con cui relazionarsi per migliorare tutta la fase di gestione dei beni confiscati.

Mancanza di organico e di competenze

L’Istituto di statistica ha altresì rilevato che un problema non irrilevante è rappresentato dalla carenza di organico. A cui si somma non di rado la mancanza di adeguate competenze. Ciò ulteriormente ci conferma che quella della gestione dei patrimoni mafiosi è una questione che si può contribuire a risolvere soltanto con l’apporto di più soggetti. In particolare, l’Istat rimarca che è necessario supportare gli enti territoriali nella precisa gestione dei dati. Valutando anche l’opportunità di un coinvolgimento degli uffici di statistica e di  nuovi interventi formativi nell’ambito del Sistema statistico nazionale.

Si può dunque concludere che è vero che le politiche sul riutilizzo dei beni confiscati sono in decisa mutazione ed evoluzione, in particolare sul piano della necessità di colmare i vuoti informativi, sia per quanto attiene alla programmazione sui beni confiscati ancora in gestione da parte di Anbsc – Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – sia per quanto attiene alla fase di monitoraggio e valutazione sui beni destinati.

Appare dunque fondamentale un investimento consistente in fase di progettazione e formazione. Questo grande investimento deve interpretarsi come doveroso per riconsegnare finalmente alla collettività l’insieme dei patrimoni confiscati alle mafie, i quali per dimensioni ed eterogeneità dei beni, certamente meritano un intervento immediato da parte delle autorità pubbliche.

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