Squid Game, la strana storia del nuovo (macabro) fenomeno di Netflix

Il regista cominciò a scriverla nel 2008 ma nessuno volle scommettere su Squid Game. Oggi è la serie più vista sulle piattaforme streaming. Perché?

Squid Game Netflix
Foto: Web

Quando tutti aspettavano la quinta stagione de La Casa di carta, ecco l’outsider che non ti aspetti. O forse sì? La serie sudcoreana Squid Game ci ha messo poco più di due settimane a diventare un vero e proprio fenomeno. Il contenuto più visto su Netflix e delle piattaforme streaming in generale, nonostante la trama lasci intendere fin da subito che non si tratta di roba per un pubblico impressionabile. Non solo per gli effetti visivi, ma anche per la storia in sé. Tanto da far circolare più di qualche domanda in merito, dalle ragioni che spingono un utente a visionare un determinato contenuto, al chiedersi se ci fosse davvero bisogno di una serie simile.

Squid Game prende spunto da qualche idea passata forse, ma i mezzi offrono un risultato di ben altro livello. Disponibile dal 17 settembre, la serie narra di un gruppo di persone in forte difficoltà economica che, per riuscire a guadagnare una cifra spropositata (45600000000 won sudcoreani), scelgono di partecipare a un gioco di sopravvivenza per il divertimento di ricchi uomini d’affari. Il contesto è surreale, l’ambientazione quasi farsesca e persino i giochi sembrano all’apparenza innocenti. In palio, però, c’è la vita delle persone: essere eliminati dal gioco, significa essere uccisi in modo violento. Tutto sotto la guida del regista Hwang Dong-hyuk, che sceglie lo streaming per replicare gli exploit di Bong Joon-ho e del suo pluripremiato Parasite.

In sostanza, in un mondo colorato a colpi delicati di pastello, tutto viene distorto e poi ritorto contro i concorrenti, per lasciare infine una inevitabile scia di sangue. I temi di fondo sarebbero anche coerenti: riscatto sociale, desiderio di emancipazione o, come nel caso di alcuni personaggi, ripianamento dei debiti, una vita migliore per un caro malato. Il tutto, però, convogliato all’interno di un connubio fra sadismo e pressione psicologica. Nel mezzo, alcune storie particolari come quella di Seong Gi-hun, motivato da ragioni familiari e leader per caso. Il divertimento di pochi (la classe sociale elevata) e la strage di tutti i restanti (in 456 partecipano al “gioco”) con il MacGuffin del fantomatico maxi-premio in denaro. Tanti soldi, probabilmente, da risolvere la vita di ognuno dei partecipanti ma destinati (forse) a salvare quella di uno solo di loro.

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Chissà, forse ci vorrebbe una lettura psicologica in merito al trend degli ascolti. Una volta l’horror riguardava solo pochi appassionati del genere, figurarsi lo splatter. Ora, una serie cinematograficamente di buona qualità ma con sublimazione della violenza diventa un fenomeno di massa. Forse perché implicitamente genera domande (per esempio quanto si è disposti a rischiare per cambiare la propria vita, finanche a perderla). Fatto sta che le ragioni filosofiche spesso lasciano il posto a cose più terra-terra, come il fascino dell’effetto visivo, a quanto pare ancor di più se in ballo c’è l’adrenalina o la sensazione che possa capitare qualcosa da un momento all’altro. Qualche domanda viene quantomeno da farsela, visto che si arriva da due anni durante i quali il confronto con la paura (del virus e della crisi, che ha fatto anch’essa le sue vittime) è stato all’ordine del giorno.

A ogni modo, la storia di Squid Game parte da lontano. Qualcuno ha scomodato persino un’idea di Stephen King, partorita nel 1982 con il suo L’uomo in fuga, scritto come Richard Bachman. Anche lì, una società futuristica oggi prossima (il 2025) e un quadro quasi post-apocalittico, in cui regnano disuguaglianza e inquinamento irreversibile. E anche lì, un gioco mortale che diventa un incubo psicologico. Tuttavia, la storia della serie fenomeno di Hwang inizia nel più recente 2008, quando interruppe il suo lavoro per ricavare circa 500 euro dalla vendita del suo portatile. A ogni modo, anche quando la sceneggiatura fu completata, nessuno volle concretamente produrre la serie, per una trama ritenuta eccessiva e, appunto, troppo violenta.

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Non per Hwang però, che ritenne Squid Game “un’allegoria sulla società capitalistica moderna”, come raccontato a Variety. Sarà Netflix a investire sulla storia, trasportandola nel mondo in ascesa dello streaming. Forse un banco quasi più probante del cinema per capire la direzione e i gusti della nostra società. Specie dopo una pandemia globale.

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