Percepire delle mance contribuisce a fare reddito. E, per questo, risulta pertinente ai fini contributivi e fiscali. Ecco il pronunciamento degli ermellini.
In principio era qualche lira, oggi qualche monetina che raramente ci porta sopra i 2 euro. Nei casi migliori può essere una banconota. Di qualunque importo si tratti (comunque solitamente contenuto), le mance rappresentano sempre un momento di soddisfazione per un lavoratore che, in un piccolo gesto, vede una gratificazione per il suo servizio. Questo vale ancora di più per i più giovani che, magari, iniziano la propria carriera lavorativa con delle mansioni provvisorie, con compenso rimpinguato proprio dal supporto delle “regalie” dei clienti.
Trattandosi di importi minimi, che tuttavia possono essere accumulati se inquadrati in una certa regolamentazione, finora pochi avevano immaginato che potessero diventare materia in termini di tasse. A dissipare tutti i dubbi ci ha pensato la Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 30 settembre che ha stabilito come sulle mance andranno pagate le tasse. Sì, perché queste vanno considerate a tutti glie effetti parte del reddito da lavoro dipendente. E questo è valido sia ai fini contributivi che, naturalmente, a quelli fiscali.
La ragione di tale decisione, per i giudici è molto semplice: le mance vanno inquadrate come una vera e propria integrazione al proprio compenso. Questo significa che vanno a costituire un’entrata a tutti gli effetti sulla quale, in quanto tale, il dipendente può fare “ragionevole se non certo affidamento”. Chiaramente, il caso preso in oggetto dagli ermellini costituisce un esempio decisamente probante. Il ricorrente, infatti, era un dipendente di un hotel di lusso, accusato di evasione fiscale per non aver dichiarato al fisco 84 mila euro ottenuti in mance durante un anno di lavoro.
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Il lavoro nella struttura in questione, situata sulla Costa Smeralda, in Sardegna, aveva di fatto garantito al lavorante un’entrata cospicua. Aggiuntiva a quello che risultava essere il suo compenso ordinario. Esaminato il caso, la Cassazione ha concluso che le erogazioni liberale percepite da un dipendente per la propria attività lavorativa, “rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’articolo 51, primo comma, del Dpr 917/1986”. E, per questo, non possono sfuggire alla scure delle tasse. Certo, non tutti arrivano a 84 mila euro di mance…