Dalla sua introduzione, la fattura elettronica ha consentito di ridurre il tax gap Iva. Numeri positivi che, ora, alimentano l’ipotesi di una (non facile) estensione.
Ormai non è più una novità la fattura elettronica ma, numeri alla mano, gli effetti iniziano a vedersi ora. Perlomeno in una prima panoramica generale. Anche perché, come ha ricordato più volte il premier Mario Draghi, l’evasione fiscale resta un problema serio in Italia, specie per quanto riguarda l’Iva. Addirittura, il nostro è il quarto Paese in Europa nella poco onorevole graduatoria (dopo Romania, Grecia e Lituania), con ben 34,9 miliardi in media l’anno di imposta evasa. Va meglio dal punto di vista dell’Irpef, il cui tax gap si sta riducendo.
La fattura elettronica ha giocato un ruolo in questo aspetto, per nulla rilevante visto che va a riguardare una larga fetta di lavoratori. Secondo i dati riportati in un documento allegato alla Nadef 2021, pubblicata il 29 settembre scorso, la nuova fatturazione (introdotta dall’1 gennaio 2019 in termini generalizzati) ha consentito di portare per la prima volta in cinque anni il tax gap sotto il 20%. Una discesa sensibile se si considera che, solo nel 2014, la percentuale si attestava al 27,4%. Un successo parziale ma comunque indicativo.
Tax gap ridotto: come funziona la fattura elettronica
I numeri positivi, a ogni modo, fanno ipotizzare anche un’ulteriore estensione della misura. Tuttavia, la Relazione sull’andamento della fatturazione elettronica frena i motori, poiché l’estensione deve considerare anche il confronto tra “i maggiori costi di adempimento per i contribuenti con gli effetti concreti”. Resta comunque il fatto che questo tipo di fattura viene emessa anche da una buona parte di coloro che, teoricamente, non sarebbero tenuti a redigerla. I dubbi sull’estensione riguardano più che altro la disciplina comunitaria che, ad esempio, impedisce di portare la fattura elettronica anche ai regimi forfettari, esclusi dall’applicazione di Iva e solitamente inferiori a una determinata soglia di ricavi.
Come detto, la fattura elettronica è stata attivata a tutti i titolari di Partita Iva dal 1° gennaio 2019. In pratica, al momento di presentare la propria fattura, dovranno emetterle via web e farle transitare dall’Agenzia delle Entrate. Tra privati, l’obbligo riguarda sia le cessioni dei beni che le prestazioni dei servizi. Gli unici esonerati sono per l’appunto coloro che rientrano nel regime forfettario, in quello di vantaggio e i piccoli produttori agricoli. La trasmissione deve avvenire tramite il Sistema di Interscambio (Sdi), rigorosamente in formato xml.
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Imprescindibile, ai fini del controllo effettuato dall’AdE (proprio tramite Sdi), che la fattura contenga i dati obbligatori ai fini fiscali, l’indirizzo telematico corretto (ossia il codice destinatario) e che la Partita Iva del fornitore sia esistente. Superati i controlli, verrà trasmessa una ricevuta di recapito. Obbligatoria anche la conservazione elettronica per dieci anni, ovvero un procedimento fornito da operatori privati (ma anche dall’Agenzia delle Entrate), regolamentato dal Codice dell’Amministrazione Digitale. Quindi a norma di legge. In poche parole, non basterà salvarle in una cartella sul nostro desktop…