WhatsApp, utilizzare questa funzione è reato penale: come evitare guai con la Legge

WhatsApp, l’app di messaggistica più utilizzata al mondo, può far commettere un reato penale. Scopriamo in quali casi per non rischiare di metterci nei guai con la Legge.

Whatsapp reato penale
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Chat, condivisione di storie e video, messaggi vocali, WhatsApp è questo e tanto altro. L’app di messaggistica più scaricata ed utilizzata al mondo consente di usufruire di varie funzionalità che tengono conto non solo delle persone con cui si desidera conversare ma anche dei soggetti con cui non si vuole avere nulla a che fare. Per tutelare la privacy, infatti, l’app permette di “bloccare” alcuni utenti e di impedire loro di visionare i propri contenuti. In più, consente di segnalare casi di violazione della sfera privata o di uso di un linguaggio razzista, intimidatorio, violento, scorretto. La linea di separazione tra uno sfogo e un atto considerato reato penale è sottile e l’attenzione dovrà restare sempre molto alta.

Quando uno sfogo diventa reato penale su WhatsApp

La libertà di parola e di espressione deve rimanere sempre all’interno di determinati limiti. Su WhatsApp non sono ammesse frasi razziste, di incitamento all’odio o termini scorretti. Alle volte la percezione che si tratti di sfoghi senza alcuna conseguenza è chiara ma altre volte potrebbe non essere così facile capire dove finisce l’esplosione dei sentimenti ed inizia una mentalità violenta che potrebbe tramutarsi in azioni condannabili dalla Legge.

La Corte di Cassazione ha deciso che determinati atteggiamenti rientrano nell’ambito del penale con la conseguenza di una seria condanna del soggetto che li ha messi in atto. Nello specifico, il reato di cui si può essere accusati è quello di diffamazione.

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La sentenza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione in una sentenza ha emesso un verdetto di colpevolezza nei confronti di una persona che ha scritto sullo stato di WhatsApp frasi offensive rivolte ad un terzo soggetto. Il “caso” ha come protagonista un imputato di Caltanissetta e si è concluso lo scorso luglio. L’accusato ha tentato di difendersi dicendo che non c’erano prove a supporto della teoria che le frasi offensive erano chiaramente rivolte ad una persona in particolare. La difesa ha aggiunto che non tutti i contatti hanno WhatsApp e, di conseguenza, solo in pochi potrebbero aver visto lo stato dell’imputato.

Le argomentazioni sono risultate alquanto deboli e la Corte di Cassazione non ha avuto dubbi sulla sentenza da emettere. Colpevolezza di reato di diffamazione. Poche parole/insulti hanno avuto come conseguenza un risarcimento di 3 mila euro più il pagamento delle spese legali. Morale della storia, è meglio sfogare i propri sentimenti in privato ed evitare l’uso di WhatsApp per esprimere pensieri privati poco riguardevoli verso altre persone.

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