Con l’attuale sistema di pensione in fase di chiusura, l’obiettivo è evitare lo spettro dello scalone. E una soluzione sembra esserci.
La riforma delle pensioni, assieme a quella del Fisco, rappresenta l’urgenza più imminente per il governo italiano. Troppo poco alla fine di Quota 100 (meno di quattro mesi) per tergiversare ulteriormente, anche se l’idea della misura ponte (sullo stile di Quota 102) sembra la soluzione più indicata per far fronte all’imminente chiusura della misura disposta ai tempi del Conte I, giunta a fine triennio sperimentale. Il problema è capire cosa accadrà dopo. Il timore del promotore dell’attuale sistema pensionistico, Matteo Salvini, è che l’erede di Quota 100 dovrà introdurre “un sistema flessibile con cui si può uscire a partire dai 62 anni”. Oltre che “riconoscere la diversità dei lavori”.
Un tema che preoccupa anche i sindacati, pronti ad avviare una discussione con il governo per cercare di capire quale sarà la direzione intrapresa. Sul fisco come sulla pensione. Anche perché quattro mesi per diradare le nubi sul futuro pensionistico sono praticamente nulla. Per questo si era pensato alla misura provvisoria, in attesa di programmare un nuovo meccanismo inclusivo che possa anche correggere qualche aspetto costato il rinnovo a Quota 100. L’unico dato certo, al momento, è che da fine anno non saranno più ammessi i pensionamenti anticipati con 62 anni di età e 38 di contributi.
Per il momento, il confronto fra governo e parti sociali si è fermato a un tavolo interlocutorio. La possibilità è quello di uno scalone, ovvero aumento dei requisiti sullo stile di quello adottato nel 2011 dal governo Monti. L’obiettivo, però, era proprio quello di evitare disparità di trattamento e, nonostante la situazione di crisi economica (comunque di diversa natura rispetto a quella avviata nel 2008), non sembra questo il caso adatto per una soluzione di questo tipo. Se le cose dovessero restare così fino al 31 dicembre 2021, chi mira ad andare in pensione negli anni successivi si ritroverà invischiato nell’aumento di cinque o sei anni per la maturazione dei requisiti minimi.
Quota 100, addio: cosa può succedere dopo alla pensione
Eppure, almeno nelle intenzioni, la direzione è quella della flessibilità. Come suggerito da Tito Boeri e Roberto Perotti, il superamento di Quota 100 si presenta come l’occasione per “riconciliare una maggiore flessibilità nell’età di pensionamento con la sostenibilità del sistema”. Ovvero, ok al pensionamento già da 63 anni ma con riduzione attuariale (oggi applicata solo alla quota contributiva) sull’intero importo della pensione.
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Un ragionamento sulla base di una proposta dell’Inps risalente a qualche anno fa. La riduzione media sarebbe di un punto e mezzo per ogni anno di anticipo rispetto a Quota 100. Se il trend contributivo dei giovani rimarrà lo stesso (ovvero con quota più alta), la riduzione potrebbe essere anche più alta. Una soluzione di questo tipo punta a ridurre la disparità fra pensione contributiva e le miste. Il tutto, a patto di aver maturato almeno 20 anni di contributi e pensione superiore a una soglia minima. Attualmente questa è fissata a 1.450 euro ma la mission è ridurla perlomeno a 1.000. Solo un’ipotesi naturalmente. Ma il tempo stringe e un ragionamento di questo tipo sembrerebbe non apparire insensato a chi decide.