Aumenta la liquidità ma gli investimenti vanno in picchiata. Imprese e famiglie preferiscono la prudenza ma i soldi sul conto corrente costano.
La tendenza al risparmio in pandemia è stata legittima. Nessun investimento, o comunque pochi rispetto alle medie precedenti, laddove il timore di ritrovarsi senza fondi di emergenza era più forte della volontà di muovere il proprio denaro. Il risultato è un semplice calcolo matematico: imprese e famiglie procedono, praticamente ormai di mese in mese, al ritmo di 10 miliardi complessivi di deposito su conto corrente. Un accumulo che crea un problema di stagnazione tutt’altro che da sottovalutare. Il rischio, infatti, è di regalare letteralmente soldi alle banche, considerando i costi da sostenere. Dai correntisti ma anche dagli istituti di credito.
Un problema serio. Gli italiani scelgono sempre meno di ricorrere anche alle forme minime di investimento. Una strategia chiaramente influenzata dalla pandemia che ha ridotto il lavoro e fatto sprofondare il Paese in una crisi economica diversa dalle precedenti. La volontà di tenere per sé i propri risparmi crea però un effetto collaterale, ovvero l’incremento delle spese. Un conto corrente troppo corposo crea dei costi per il correntisti e, indirettamente, anche per la banca. La quale, per far fronte alle richieste delle Banca centrale, attinge tramite commissioni al conto oltre limite.
Stando a quanto spiegato dalla Banca d’Italia, a giugno del 2021 le famiglie italiane avevano depositato ben 1.131 miliardi sui conti correnti, ovvero 64 in più rispetto a un anno prima. Le stime di Bankitalia spiegano che ben 392 miliardi provengono dalle imprese, 60 in più rispetto a 12 mesi prima. Il che significa che, tra famiglie e imprese, si contano 1.500 miliardi di euro in più in giacenza sui conti correnti. Un macigno sotto forma di denaro, alla mercé dei possibili effetti dell’inflazione e interamente gravante sulle spalle dei correntisti. L’indicatore migliore sulla situazione degli italiani, ancora sfiduciati rispetto al futuro e tutt’altro che propensi a immettere i propri soldi in circuiti di investimento.
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Il sintomo, naturalmente, è quello della preoccupazione. Ma il problema serio è che l’aumento di liquidità non produce vantaggi, specie se in grossi quantitativi. Gli investimenti finanziari ne risentono più di tutti: dalle obbligazioni alla Borsa, peraltro mai amata dagli investitori italiani. Stesso discorso per le imprese, che preferiscono aumentare i liquidi senza investire. Il tutto si traduce in una sorta di “regalo” alle banche. Il tasso medio per le giacenze di un conto corrente ordinario è di 0,03%. Per i conti vincolati si parla invece di un 0,032% annuo, senza contare le spese di tenuta del conto. Il rendimento diventa praticamente nullo, a fronte di spese pressoché continue. Una realtà incrementata dai tassi zero successivi alla crisi del 2008.