I giudici sentenziano su un aspetto fondamentale della nostra quotidianità. I messaggi di WhatsApp (e non solo) possono fornire piena prova.
Di tanto in tanto, è bene che venga in aiuto la saggezza popolare. Nel caso specifico, il consiglio è a stare sempre attenti a ciò che si scrive. Per chi non lo sapesse, infatti, la Corte di Cassazione ha stabilito qualcosa di estremamente importante, che mette in dubbio tutte le certezze che si pensava di avere. Oggetto della sentenza, datata 13 giugno 2019 (la numero 19155), i messaggi circolati su WhatsApp e sulle e-mail ma anche via sms. I quali, hanno stabilito gli ermellini, forniscono sempre una piena prova in giudizio, a meno che colui contro il quale sono prodotti non effettui un disconoscimento.
Per questo è sempre bene stare attenti a non utilizzare questi strumenti come veicolo di insulti, minacce e quant’altro sperando di farla franca. Anche perché, persino in caso di contestazione, il giudice può liberamente valutare tali elementi probatori e accertarne la fondatezza tramite differenti mezzi di prova (ad esempio testimoni). In sostanza, anche nel caso fossero contestati, il giudice potrà riservarsi la possibilità di appurarne la veridicità. Si tratta di fatto di una prosecuzione della vecchia sentenza 4916/2017, nella quale veniva riconosciuta la stessa cosa ma solo se i messaggi erano acquisiti tramite consegna del supporto telematico, screenshot stampato o su Usb, testimonianza diretta o trascrizione.
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WhatsApp, la sentenza della Cassazione: i messaggi come prova
Non solo WhatsApp naturalmente ma, visto il largo utilizzo, è chiaro che la sentenza di due anni fa si riferisca soprattutto ai messaggi veicolati tramite l’app di Facebook. I quali, ormai da tempo e in modo piuttosto netto, hanno soppiantato il ruolo che avevano gli sms. Inevitabile, quindi, che questa disposizione degli ermellini cada in modo deciso sulla nostra quotidianità. Chiaro che la sentenza si riferisce in modo specifico a quei messaggi che possono assumere toni minatori o ritenuti pericolosi per la nostra incolumità. Ma anche per dirimere questioni familiari o di altro tipo i messaggi possono costituire un indizio importante per un giudice.
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In pratica, chicchessia potrebbe essere in qualche modo incastrato dalle stesse cose da lui dette. Tale modalità di reperimento di prove potrebbe addirittura rendere superfluo, nell’ambito di alcuni procedimenti, il ricorso a dei testimoni diretti. Inoltre, per restare nell’ambito dei tecnicismi, questa opportunità sopperisce alle difficoltà di precostituirsi una prova documentale in situazioni in cui è difficile acquisirla. Questo anche per i toni spesso confidenziali che si utilizzano su WhatsApp o qualche altra piattaforma. I momenti ideali in cui dire qualcosa senza avere la seria intenzione di dirla.