Tenere i propri risparmi sul conto corrente va bene, ma meglio non esagerare. Il rischio c’è e, guardando a una riforma fiscale, anche grosso.
E’ un discorso fatto parecchie volte. Il risparmio, in tempo di pandemia, è lievitato a livelli mai visti. Da un lato perché i consumi si sono drasticamente ridotti, soprattutto in tempi di lockdown. Dall’altro, per la situazione economica complessiva, tutt’altro che favorevole alle spese. Il problema è che il risparmio ha un limite, specie se si è titolari di un conto corrente. Anche questa è una situazione fin troppo nota: possedere una liquidità eccessiva sul proprio conto significa andare incontro, nel migliore dei casi, a un’imposta di bollo. In altri, addirittura, al rischio di chiusura dello stesso a causa dei costi improduttivi.
In pandemia, a ogni modo, il risparmio l’ha fatta da padrone. Stando ai dati Abi, la liquidità degli italiani si attestava addirittura a 1.775 miliardi di euro a maggio, ovvero 135 miliardi in più dell’anno precedente. E negli altri Paesi del mondo non è che vada diversamente. Chiaro che il lockdown abbia inciso pesantemente sul nostro stile di vita ma questo non cambia la sostanza: lasciare troppi soldi sul conto corrente comporta dei rischi ed è bene esserne consapevoli.
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La banca tende a offrire degli interessi a zero sui risparmi in deposito e, peraltro, quest’anno si è deciso di porre anche un limite al conto corrente. Ad esempio, per i clienti che superano i 100 mila euro, il rischio è quello di vederselo chiuso. Questo perché, a fronte di un’esosa imposta di bollo, il conto non produrrebbe nemmeno un euro di interesse attivo e anche la banca si ritroverebbe a pagare commissioni per la gestione di un capitale così elevato. Da richiedere, naturalmente, tramite l’imposta. Un circolo vizioso che non conviene a nessuno, tantomeno ai correntisti. Anche perché l’inflazione è in salita e il capitale rischia man mano di andare in fumo.
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Al momento, pur senza toccare il discorso patrimoniale (almeno apertamente), gli occhi della riforma fiscale potrebbero guardare proprio alla giacenza del capitale per rimettere in riga il welfare. Si tratta infatti di una fonte particolarmente vulnerabile e, per questo, possibilmente al centro di una eventuale riforma del sistema del Fisco. E questo non vale solo per l’Italia, ma per tutti i governi che si trovano a dover fronteggiare una giacenza liquida di queste proporzioni. E la ricchezza in forma di liquidità è un soggetto ideale per un’imposta. Quindi per una patrimoniale. L’ultima, nel senso classico del termine, risale al 1992, all’epoca del governo Amato (prelievo dello 0,6%). Consci del passato, meglio non esporre a troppi rischi il nostro conto corrente.