Una questione che rischia di trascinarsi a lungo. La disoccupazione aumenta con la pandemia ma anche in luogo della richiesta di nuove competenze.
C’è una variabile da tenere in seria considerazione nell’ambito della crisi economica innescata dal coronavirus. Nonostante la forte crescita della necessità in alcuni settori (in primis quello della sanità), il numero di lavoratori non è cresciuto. Il che, di fatto, ha contribuito a mantenere gli standard occupazionali ai livelli precedenti, prima che il progredire dell’emergenza sanitaria facesse piombare tutto a quote ancora più basse. A tracciare il quadro sconfortante è l’Istat: 450 mila occupati in meno, nel 2020, rispetto all’anno precedente. Un calo drastico.
Niente che non si sia già visto, dal momento che in tempi di crisi è difficile non incappare in situazioni negative di questo tipo. Il punto è che la crisi pandemica era imprevista, non basata su fattori economici né tantomeno sull’andamento del mercato del lavoro. Il patatrac lo ha portato un’emergenza sanitaria, comune a tutti e in grado di assestare colpi da k.o. praticamente in qualunque Paese del mondo. Specie quelli che, come l’Italia, basavano buona parte del loro fabbisogno economico sulle entrate derivanti da settori colpiti duramente, come quello turistico.
LEGGI ANCHE >>> Conto corrente, allarme stagnazione: le banche si muovono, i clienti tremano
Lavoro e Covid, un’antitesi: ma per la disoccupazione c’è il nodo competenze
Il problema dell’occupazione, probabilmente, verrà trascinato a lungo. Non c’è solo una schiera di lavoratori in attesa (soprattutto giovani) a dimostrarlo, ma anche la prosecuzione di un regime di aperture a intermittenza che, per sopperire all’emergenza sanitaria, sta logorando il tessuto produttivo italiano. Una questione irrisolta, trascinata in piazza dagli stessi lavoratori che, nella giornata di ieri, hanno protestato dinnanzi a Montecitorio. Una crisi nella crisi che, alla lunga, rischia di provocare un pericoloso cortocircuito. Anche perché intervengono i numeri: nel 2020, riferiscono Unioncamere e Anpal, restano vacanti 1,2 milioni di contratti. Ma non solo per mancanza di prospettive.
LEGGI ANCHE >>> Risparmi in pericolo: il nostro conto corrente è sempre al sicuro?
Emerge anche un’altra questione: buona parte dei contratti vacanti, infatti, risente della mancanza di candidati idonei. Nel senso che, per le competenze richieste, non vi sarebbero sufficienti candidati a coprire la necessità. In sostanza, occorrerebbe implementare le competenze degli italiani, specie in una fase in cui si richiede con sempre maggior insistenza l’accrescimento di quelle relative al campo del digitale. In sei proposte di assunzione su dieci si richiedono competenze digitali (e-commerce ma anche digital marketing). Il messaggio, probabilmente, è che per uscire dalla crisi (e dalla disoccupazione) bisognerà evolversi. In ogni campo.