In Italia resta uno spettro ma negli Stati Uniti i democratici premono per una maxi tassa patrimoniale per i paperoni del Paese.
Inutile nasconderlo. Fin dal momento dell’insediamento di Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea, al governo del nostro Paese, diverse volte è stata avanzata l’ipotesi che potesse essere ripristinata una misura come la tassa patrimoniale per far fronte all’emergenza economica. Un fantasma evocato nei momenti più complicati come ultima spiaggia per restare a galla ma considerato, appunto, anche come l’ultimo colpo di scure alle economie domestiche dei contribuenti.
In attesa che si definisca il quadro complessivo, al di là dell’oceano Atlantico sembra si sia trovato un compromesso. Anzi, si sta cercando di raggiungere ma l’indirizzo sembrerebbe quello giusto. A proporre la mossa è un gruppo misto di senatori e deputati democratici (fra i quali ci sarebbe anche Bernie Sanders), che ha chiesto all’amministrazione a guida Biden di introdurre una patrimoniale mirata su determinati conti correnti. Il nome dice tutto: Ultra-Millionaire Tax Act. E sì, punterà proprio ai conti grossi.
Certo, c’è da superare lo scoglio dell’approvazione ma, in caso andasse in porto, la tassa sarebbe specifica per determinati situazioni reddituali. Infatti, secondo la proposta, sarebbero da tassare solo i patrimoni netti da oltre 50 milioni di dollari, con aliquota del 2% e possibilità di una sovrattassa dell’1%. Questa scatterebbe nel caso in cui i beni del destinatario (sia mobili che immobili) andassero complessivamente a superare il miliardo di dollari. Un modo, sostengono i democratici, per ricucire la crepa sociale allargata a dismisura dalla pandemia.
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Un rapporto Oxford 2021, infatti, avrebbe indicato come lo scoppio dell’emergenza sanitaria non solo abbia fatto gravissimi danni al tessuto sociale americano, ma soprattutto abbia scavato ulteriori solchi di disuguaglianze laddove queste erano già esistenti. In questo senso, la patrimoniale statunitense sarebbe da leggere nell’ottica di una redistribuzione della ricchezza nel Paese. E sembra che i più ricchi del Paese (Bill Gates in testa) siano anche favorevoli a sborsare qualcosa per aiutare il Paese a ripianare un po’ gli sbalzi sociali.
L’esame del Congresso servirà più che altro a capire se vi siano i presupposti costituzionali per un progetto del genere. Qualora andasse in porto, potrebbe fruttare al Paese circa 3 mila miliardi di dollari in dieci anni, frutto di tassazioni monstre sul patrimonio dei paperoni del Paese. Basti pensare che uno come Jeff Bezos sborserebbe 5,7 miliardi. Altri 4,6 toccherebbero a Elon Musk mentre il “meno ricco” Mark Zuckerberg andrebbe a pagare comunque una tassa da 3 miliardi. Praticamente una parte di Pil del Paese.